Mafia capitale, l'impiegata condannata: «Buzzi veniva e metteva i piedi sul tavolo»

Mafia capitale, l'impiegata condannata: «Buzzi veniva e metteva i piedi sul tavolo»
di Valentina Errante
2 Minuti di Lettura
Sabato 21 Novembre 2015, 01:12 - Ultimo aggiornamento: 4 Novembre, 12:43
Emanuela Salvatori è il primo pubblico ufficiale condannato nel processo a mafia capitale. Una pena di quattro anni con rito abbreviato: corruzione semplice. Per lei, funzionaria comunale, come per la maggior parte dei colletti bianchi arrestati, la stessa procura ha escluso l'aggravante del favoreggiamento della mafia. Il clan era potente e operativo ma, in base alle accuse mosse dagli stessi pm in vista del processo, pochi ne conoscevano la struttura criminale, buona parte dei funzionari corrotti non ne avrebbe avuto la consapevolezza. E lei, Emanuela Salvatori, classe '57, in aula, ieri, ha ribadito la sua buona fede. Adesso parla attraverso il suo avvocato, Davide De Caprio.

Come si sente?

«Meglio. Soprattutto perché il giudice ha confermato che, qualunque sia stata la mia condotta, non ho mai agevolato la mafia».

Lei, era responsabile del procedimento amministrativo, attuazione Piano nomadi è accusata di avere favorito Buzzi e di avere scritto una delibera sotto dettatura.

«Come ho già detto in aula, Salvatore Buzzi era di casa nell'ufficio del mio capo, Angelo Scozzafava (a processo per turbativa d'asta aggravata dal favoreggiamento mafioso ndr). Stava lì con i piedi sul tavolo, per me era un imprenditore di peso, del resto che Buzzi fosse in rapporti con Alemanno lo sapevano tutti, sono relazioni che ho trovato dopo un'assenza per malattia. Io mi sono limitata a prendere ordini dal mio capo. Quanto alla determina incriminata è avvenuto tutto alla presenza di Scozzafava, su sua richiesta. Dall'intercettazione è chiaro che l'input arriva da Scozzafava ».



Però lei è stata condannata per corruzione, le contestano l'assunzione di sua figlia in una struttura gestita da Buzzi e finanziata dal Campidoglio.

«Mia figlia non è mai stata assunta. Di fatto non ho avuto nulla. E l'ipotesi di un lavoro in alcun modo legata a miei presunti favori. Semplicemente, per le ragioni che ho già spiegato, con queste persone si era creato un rapporto, nato dall'assidua presenza negli uffici comunali, circostanza che certo non dipendeva da me.

Cosa pensa di questa inchiesta?

«Credo che si tratti di un processo chiaramente “mediatico”. La lettura dei fatti si è evidentemente ridimensionata. Quanto a me, sono rimasta vittima di un ingranaggio del quale ignoravo l'esistenza. Cercherò di dimostrare in appello la mia totale estraneità ai fatti».