Mafia Capitale, Cantone: «Mai individuato il 416 bis»

Mafia Capitale, Cantone: «Mai individuato il 416 bis»
di Sara Menafra
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Venerdì 16 Settembre 2016, 09:39 - Ultimo aggiornamento: 17 Settembre, 08:53
Nelle carte dell'Anticorruzione non c'erano tracce della presenza di un'organizzazione mafiosa all'interno del comune di Roma. La frase è risuonata in aula con molto clamore, forse persino al di là del suo effettivo significato, perché a pronunciarla è stato lo stesso presidente di Anac, Raffaele Cantone.

Sentito come testimone nel processo Mafia capitale, Cantone si è trovato a specificare che nel corso degli accertamenti fatti dagli ispettori che aveva inviato in Campidoglio non sono state rintracciate tracce della presenza mafiosa: «Non spetta all'Anac formulare ipotesi di reato. Questo lo fanno i pubblici ministeri. Noi ci limitiamo a segnalare irregolarità o criticità quando c'è un fumus di illecito penale», ha detto. Poi però, incalzato dalle domande dell'avvocato di Salvatore Buzzi Alessandro Diddi, ha specificato: «Posso escludere di aver mai individuato una ipotesi di 416 bis, ad oggi».

L'ACCUSA
E' vero che per gli ispettori di Anac sarebbe stato difficile rilevare ipotesi di mafia sulla base di un'analisi degli atti del comune puramente documentale. A distinguere l'associazione mafiosa da quella semplice, dice il codice, è «la forza di intimidazione del vincolo associativo», oltre alla «condizione di assoggettamento ed di omertà» che ne deriva. Elementi difficili da rintracciare nelle carte. E, però, il cuore del processo ai 46 imputati tra i quali il presunto leader dell'organizzazione Massimo Carminati e Salvatore Buzzi, è proprio l'accusa di Mafia. E quindi la frase di Cantone pesa e fa discutere.

La deposizione del presidente di Anac ha portato anche un altro elemento a favore della tesi difensiva. A proposito dell'ampio, amplissimo uso delle procedure negoziate durante gli anni dell'amministrazione romana, l'ex pm napoletano ha ammesso che erano diffuse in tutti i settori. «Non c'è stata una sostanziale discontinuità nell'uso di procedure negoziate tra le giunte di Gianni Alemanno e Ignazio Marino» ha detto Cantone. Tra il 2014 e il 2015 la riduzione delle procedure negoziate è stata lievissima, ha spiegato.

Sul comune di Roma, «facemmo verifiche prima dell'indagine su Mafia capitale e già in quella occasione le procedure negoziate erano applicate nel 90 per cento degli affidamenti». Gli appalti a Roma venivano affidati con «procedure meno sicure e garantite». «Emergeva inoltre, e lo evidenziammo, una pluralità enorme dei centri di costo nell'ambito del Comune di Roma. Cento centri di costo all'interno di un'unica struttura non consentivano alcun tipo di controllo della struttura stessa».

«Inoltre non era sempre semplice capire chi si occupava di ogni settore, perché anche dal punto di vista della competenza c'era un po' di confusione». «Quando analizzammo la situazione del comune di Roma vennero segnalate una serie di criticità anche per vedere se il Campidoglio aveva da ribattere qualcosa. Ma la nostra delibera arrivò nel periodo della gestione commissariale, e in Comune l'amministrazione eletta non c'era già più».

Particolare attenzione è stata dedicata agli appalti di Ama, considerati dal 2011 in avanti, mentre anche al di là del processo di cui si discute nell'aula bunker di Rebibbia, Anac sta ancora valutando l'andamento delle commesse Atac. Per la difesa di Buzzi è un altro colpo a favore: «Le procedure negoziali e senza gara erano la regola e non un'eccezione confezionata ad arte per il mio assistito». «Penso che il marcio stia soprattutto nella burocrazia - ha concluso Cantone - se a valle o a monte non saprei dirlo in termini di percentuale. Sarà il tribunale a dire se ci saranno concussi o corruttori in questa vicenda».

LEODORI INDAGATO
La testimonianza del presidente di Anac apre di fatto l'ultima fase del processo. Da qui a fine anno saranno ascoltati i testimoni chiamati dalle difese, quindi ci saranno le requisitorie e entro la primavera la sentenza. Nel corso dell'udienza c'è stato una sorta di colpo di scena.

Tra i testimoni era stato convocato Daniele Leodori, presidente del consiglio regionale del Lazio ma, mentre stava iniziando la deposizione, il pm Luca Tescaroli ha chiesto la parola annunciando che l'esponendte Pd avrebbe potuto avvalersi della facoltà di non rispondere perché indagato in un procedimento connesso: Leodori è stato iscritto nel registro degli indagati in uno degli ultimi filoni di indagine, la procura ha già chiesto l'archiviazione ma ora attende la decisione del gip. E' accusato di concorso in turbativa d'asta in relazione all'appalto del servizio Cup (il centro di prenotazione regionale per le prestazioni sanitarie).
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