Libia, Calcagno e Pollicardo rientrati in Italia: a Ciampino l'abbraccio con i familiari

Libia, Calcagno e Pollicardo rientrati in Italia: a Ciampino l'abbraccio con i familiari
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Domenica 6 Marzo 2016, 08:27 - Ultimo aggiornamento: 7 Marzo, 13:20

Si sono liberati da soli, Gino Pollicardo e Filippo Calcagno, i tecnici rapiti in Libia e tornati in Italia all'alba dopo otto mesi di prigionia. Otto mesi durante i quali, insieme ai due compagni uccisi, Salvatore Failla e Fausto Piano, hanno subito violenze psicologiche e fisiche, sono stati presi a calci e pugni, colpiti con il manico di un fucile e tenuti senza cibo per giorni. È il racconto che esce dagli ex ostaggi dopo sei ore di audizione di fronte al pm della procura di Roma Sergio Colaiocco. L'aereo che li ha riportati a casa, dopo che ieri per ore è andata avanti una trattativa serrata con Sabrata, è atterrato a Ciampino alle 5.

«Non auguro a nessuno quanto abbiamo passato in questi mesi, eravamo in mano a dei criminali non a delle bande armate», ha detto Gino Pollicardo arrivando a Monterosso. Il tecnico si è fermato a parlare brevemente con i cronisti sotto casa ed ha avuto subito un pensiero per i due colleghi uccisi. «Non posso non rivolgere un pensiero ai miei due colleghi che non ci sono più». «Ringrazio il Signore e la Madonna di Soviore. Scusate ora devo andare, ho un padre e una sorella che mi aspettano» ha concluso prima di salire nel suo appartamento.

Ai piedi della scaletta, il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. I due tecnici sono stanchi; non più stravolti come nelle prime immagini dopo la liberazione in Libia: si sono rasati, cambiati, addosso hanno un giubbotto blu. Ma l'esperienza che hanno vissuto è stampata sulle loro facce. A pochi metri dall'aereo, mogli e figli li attendono e appena li vedono, si precipitano. Qualche ora dopo, poco prima di mezzogiorno, l'abbraccio con i familiari lascia il posto alla deposizione di fronte al magistrato nella caserma del Ros: sei ore di colloquio e domande, che permettono di dare contorni più certi alla vicenda. I punti fermi sono che i 4 ostaggi sono stati tenuti prigionieri da un gruppo islamista non direttamente riconducibile all'Isis, quasi certamente una banda di criminali comuni. Due le prigioni in cui sono stati sequestrati, sempre nella zona di Sabrata e sempre dalle stesse persone.

I carcerieri erano due, si davano il cambio: tra loro, una donna. Calcagno e Pollicardo, i sopravvissuti, sono riusciti a liberarsi da soli venerdì scorso: mercoledì, i carcerieri avevano prelevato Failla e Piano forse per effettuare un trasferimento in una nuova prigione. Da allora gli altri due non hanno più incontrato i loro carcerieri e a un certo punto hanno sfondato la porta e sono riusciti a fuggire. Fino ad allora i quattro erano sempre stati assieme. Da quel momento le loro storie si sono divise. Per questo Calcagno e Pollicardo non hanno saputo nulla della sorte tragica dei compagni fino all'arrivo a Roma. Una circostanza emersa anche dalle parole del premier Renzi: «Da parte nostra - ha detto - ci sarà tutto il sostegno necessario alle famiglie delle vittime e ai due» italiani rapiti in Libia «che sono rientrati e hanno saputo solo stamattina della sorte dei due colleghi».

I paesi di origine di Calcagno e Pollicardo, Piazza Armerina in Sicilia e Monterosso in Liguria, si sono preparati per accoglierli. A Capoterra in Sardegna e a Carlentini in Sicilia, si attendono invece le salme delle due vittime, non ancora rientrate in Italia; nè appare chiaro quando questo avverrà. L'autopsia sarà centrale per stabilire le cause della morte. Quello che, per ora, filtra da fonti qualificate è che non troverebbero riscontro nè le ricostruzioni secondo cui i due sarebbero stati usati come scudi umani nè quelle di un colpo alla nuca. Altro tassello è quello delle «responsabilità», evocato oggi da Renzi: «Dovremo capire perchè i 4 italiani sono entrati in Libia quando c'era un esplicito divieto». «Eravamo in Libia per un ruolo ben preciso, abbiamo adempiuto tutti gli obblighi di legge», ha detto da parte sua Paolo Ghirelli, numero uno della Bonatti, la società per cui i quattro lavoravano.


«Soltanto oggi ho saputo della morte di Salvatore Failla e Fausto Piano...». Lo ha detto, tra le lacrime, ricordando i suoi due colleghi, Filippo Calcagno, appena arrivato a casa, a Piazza Armerina, nell'Ennese, assieme alla moglie, ai due figli e alla nuora.

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