​Terremoto a Ischia, Monica, medico milanese in vacanza: «Così abbiamo salvato i bimbi intrappolati

Terremoto a Ischia, Monica, medico milanese in vacanza: «Così abbiamo salvato i bimbi intrappolati
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Martedì 22 Agosto 2017, 19:05
«Una cosa così non l'avevo mai vista. È stato incredibile». Monica Impagliazzo, 44 anni a ottobre, è anestesista rianimatore, vive a Milano e lavora all'ospedale Fatebenefratelli. Le emergenze sanitarie sono il suo pane quotidiano, il 118 e l'automedica Alfa 5 - a bordo della quale fa i turni - la sua 'casà. Eppure «un terremoto no», non l'aveva «mai vissuto». Né le era mai capitato di dover assistere dei bambini intrappolati nelle macerie, di calarsi dentro un buco, in una casa finita in pezzi. Ma a Ischia, ieri sera, non ci ha pensato un attimo e racconta la sua avventura all'AdnKronos Salute. Quando ha sentito che c'erano stati crolli e feriti si è fatta accompagnare a Casamicciola e ha chiesto alle forze dell'ordine che presidiavano la zona se c'era bisogno di una mano in più.

Così è stata scortata fino alla palazzina crollata e lì il suo destino si è intrecciato con quello dei fratellini salvati dai soccorritori, «grazie all'instancabile lavoro dei Vigili del fuoco». Un'operazione alla quale ha contribuito anche lei, come poteva, da medico. Il papà di Monica è nato e vive a Ischia, dove è tornato definitivamente dopo la pensione, e la dottoressa era con lui a casa quando alle 21 si è sentita come investire da un'onda d'urto. In pochi secondi un boato, il tremore costante della terra«. Poi il buio, il latrato dei cani, le urla delle persone amplificate dalla vallata. Poteva sembrare »un'esplosione«, ma era il sisma, epicentro nel mare davanti casa.

A Casamicciola, all'abitazione della famiglia estratta dalle macerie, Monica ci è arrivata intorno alle 23, quando già era stata liberata la mamma di Pasquale, Mattias e Ciro, incinta. Il papà era ancora intrappolato fra la casa e l'auto, con i soccorritori che lavoravano sul tetto crollato per liberarlo. Ha camminato a piedi per raggiungere il posto, «la gente scappava in direzione opposta e c'era odore di gas che proveniva dalle case crollate. Non ho esperienza di terremoti e macerie - spiega - e quando ho visto che i soccorritori sapevano dove si trovavano i bimbi li ho dati per salvi, pensavo fosse facile tirarli fuori, invece le ore passavano».

«Il lavoro dei vigili del fuoco, delle équipe specializzate poi arrivate a dare rinforzi anche da Napoli, Roma, Avellino, è stato delicatissimo - continua la dottoressa che era sul posto insieme a un altro medico locale - Ci sono stati momenti concitati in cui la preoccupazione aumentava, i momenti in cui i piccoli stavano in silenzio». Il camice bianco ricorda flash della lunga nottata e poi della mattina passata al fianco dei bambini. La voce di Ciro, «una guida per i soccorritori», che «ha subito risposto ai vigili del fuoco da uno spiraglio, informandoli di avere al suo fianco il fratello Mattias e spiegando che sentiva il pianto del più piccolo, Pasquale di 7 mesi, che non era lì con loro». Poi l'emozione di vedere il bebè estratto vivo dalle macerie: «Stava bene, piangeva ma era un pianto vivace e lui era integro e reattivo, saturava bene».

E ancora «i pompieri che lavoravano per continuare ad allargare il buco», la telecamera usata per perlustrare la situazione, le torce, la vista delle gambe di Mattias, 7 anni, quando Monica è arrivata sul bordo della voragine, chiamata dai soccorritori «perché il bambino si era un pò agitato. Mi ha fatto effetto sentirlo piangere - dice - mentre del fratello Ciro si vedeva solo la mano. Sembra che il materasso e la rete del letto a castello li abbia protetti creando una camera d'aria». Per Ciro, 11 anni, è stata «davvero lunga. Non si capiva com'era messo, ma lui è sempre stato collaborativo, rispondeva ai soccorritori che gli chiedevano se vedeva la luce, indicava con la mano dove sentiva di avere il corpo».

Poi «gli hanno aperto uno spiraglio più ampio sul viso e a un certo punto ha mandato giù dei calcinacci. È stato incredibilmente bravo e coraggioso - testimonia la dottoressa - Mi hanno chiesto di mettere un accesso venoso veloce per idratarlo, perché ormai era sotto dalle 21 di sera ed erano le 12.30 del giorno dopo.
Un pò era riuscito a bere, ma aveva inalato tanta polvere e aveva anche vomitato un pò, quindi gli ho attaccato la flebo per somministrare un pò di soluzione glucosata e poi un'altra infusione più lenta, perché era un pò più indebolito e sofferente. Sfido chiunque a stare 15 ore sotto terra, inizialmente senza un contatto fisico ma solo verbale». «Momenti di preoccupazione ci sono stati - conclude - il pensiero che potesse avere il torace schiacciato quando lamentava dolore alle gambe. Poi con varie tecniche i soccorritori sono riusciti a togliere altro terreno e a districarlo completamente. Quando è uscito forse ci ha visto agitati e, mentre gli poggiavo la mascherina per provare a ventilarlo un pò, ci ha detto 'sono vivò. Ed è stata una vera liberazione».
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