Inferno Pescara del Tronto la tomba di turisti e ragazzi

Pescara del Tronto
di Andrea Taffi
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Giovedì 25 Agosto 2016, 08:25 - Ultimo aggiornamento: 26 Agosto, 09:21
ARQUATA DEL TRONTO L'inferno dopo la partita della Roma e due birre al circolo. La vita della frazione che non esiste più, rasa al suolo, finisce nella più tragica normalità di mille sere e mille notti d'estate.
 
 

Novanta residenti d'inverno e almeno 400/500 villeggianti d'estate. Si chiamano tutti per nome, anche ieri. Vengono da Roma e Pomezia, in particolare, per incastonarsi in questo paesino che sta tra i viadotti della Variante per Norcia e la nuova Salaria. Due file di case intorno alla vecchia Salaria e poi, sotto, un dedalo di sentieri e scale che si intrecciano alle cento abitazioni sul costone che degrada a valle, oggi ridotte a macerie.

IL GIARDINO
Soccorrere in questo contesto è un disastro nel disastro. Si incrociano i vigili del fuoco zuppi di sudore e coperti di polvere, frollini, seghe elettriche e martelli pneumatici in mano, i militari dell'esercito, personale del 118, poliziotti del reparto mobile. Scendono per i pochi stradelli praticabili, si inerpicano sulle macerie, scavano a gruppi di dieci. Da uno dei sentieri costeggiati dai meli sale una barella con una salma: la portano in otto, c'è poco spazio, bisogna essere in tanti, il telo sporco di sangue. Si fermano in cima al viottolo, stremati, liberano la bocca dalle mascherine. Sono diretti alla parte alta, al centro del paese dove è stata allestita una camera mortuaria a cielo aperto. I tetti, del resto, non ci sono più: spazzati via, implosi, crollati, scivolati. Le salme si allineano in un giardinetto triangolare, accanto alle altalene. La vita che si incrocia con la morte: saranno più di 25 i cadaveri passati da quel giardinetto.

 
LA FESTA
«Fatemeli portare via - implora Alessandra Marano, una donna arrivata da Roma con il marito, in piedi sul muretto, affacciata sulla ringhiera - ne ho quattro, non ho più una famiglia». Alessandra non ha occhi per piangere: ha perso i genitori, Corrado e Santina, il cognato Alberto Reitano e il nipote Tommaso, 16 anni. È un miracolo che parli. La sorella Patrizia è all'ospedale. Il padre, dializzato, non ha sentito niente: lo hanno estratto dalle macerie con i tubi ancora attaccati. Il terremoto non ha un'agenda né rispetto, spazza tutto. Spazza l'amore di Alberto e Patrizia che il 6 agosto proprio a Pescara del Tronto avevano festeggiato i 25 anni di matrimonio con una festicciola di paese. «Qui sono morti tutti i villeggianti. E i ragazzi. I vecchi invece sono tutti vivi. Non gli è bastato prendersi mio cognato e i miei genitori - dice Alessandra - almeno ci avesse lasciato il nipotino di zia».
Il destino di Tommaso, se possibile, è ancora più straziante. Il padre Alberto non vedendolo rincasare lo aveva chiamato verso le tre. «Dove sei, torna a casa». E si rimette a dormire. Tommaso si incammina: lo hanno trovato nella parte alta del paese, lungo la vecchia Salaria, sotto una parete crollata, insieme a una coetanea, Arianna Masciarelli, anche lei senza vita. Si vedevano solo le gambe di lui e di lei.

Sopra, fino a poche ore prima del disastro scorreva tutto col ritmo lento di sempre. «Eravamo tutti al circolo ieri sera - dice Domenico Leonardi, 60 anni, taglialegna - stavamo lì, tra una partita a carte e le chiacchiere di tutte le sere». Per i tanti romani seguire la Magica nei preliminari di Champions è il minimo. «La tv era fuori dal circolo, in una casa vicina. Saremo stati una cinquantina tra tutti. Poi ci siamo fatti due birrette e verso le due sono tornato a casa».
Perché al paese è normale tirare tardi, anche per i ragazzi. Che pericolo può esserci. Per tornare a casa, Domenico è passato davanti a quello che diventerà il giardinetto dei morti ed è passato oltre. «Io sto a 300/400 metri da qui, in confronto a loro sto alle Seychelles - spiega- quando abbiamo sentito questo disastro. Io e mia moglie siamo riusciti a uscire in qualche modo, le nostre case hanno riportato dei danni e crepe ma sono rimaste in piedi. Abbiamo cercato i vicini, anche casa loro era in piedi: abbiamo sfondato delle porte che non si aprivano».
 
LA FONTE
Poi è venuto verso il paese, verso il giardinetto. «Era già andata via la luce, ma non credevo ai miei occhi: non c'erano più le case, ho visto la strada spaccata e ho capito che era successo un disastro». Una delle poche case rimaste in piedi, tra alcune crepe e calcinacci, prima della fonte, è di un imprenditore che non vuole dare il nome. «È in piedi certo, ma dentro è un disastro. Siamo usciti con mia moglie, abbiamo portato mia suocera che non poteva muoversi con la sedia. Poi ho cercato di aiutare tutti: abbiamo salvato diversi bambini. Ma i soccorsi sono arrivati tardi. Io lo dicevo: guardate che è un disastro. Verso le 7 se ne sono accorti e sono arrivati in tanti».
Andrea Taffi
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