Terremoto, Lotito: «In strada a giocare a pallone qui le mie vacanze più belle»

Terremoto, Lotito: «In strada a giocare a pallone qui le mie vacanze più belle»
di Gabriele De Bari
3 Minuti di Lettura
Sabato 27 Agosto 2016, 09:28 - Ultimo aggiornamento: 28 Agosto, 09:18
Le radici sono pezzi di cuore, che legano per sempre alla vita, perciò la tragedia di Amatrice ha colpito profondamente e direttamente anche Claudio Lotito, cresciuto in quello che, fino a qualche giorno fa, era un suggestivo paese del reatino prima di diventare teatro di un'immane sciagura. «Mio nonno paterno Enrico era di Amatrice, la sua casa è quella al fianco della chiesa di Sant'Agostino, ammirata in tante immagini televisive, che è rimasta miracolosamente in piedi. Vi ho trascorso infanzia, adolescenza e gioventù, ogni estate, da metà luglio a fine agosto, le mie vacanze erano vissute ad Amatrice. Giorni tra i più belli della mia vita che ricordo con affetto. Sono cresciuto con la gente del posto, ci conoscevamo benissimo e c'era simpatia ed empatia. Quando si vive in un posto di questo tipo si è quasi parenti, perché la vita di ognuno è anche quella di tutti, l'attività sociale è sempre stata molto intensa».

Quindi il suo legame con questa terra è stato sempre forte?
«Certamente, come potrebbe essere altrimenti? Lo è ancora ancora oggi e lo sarà sempre. Dal punto di vista paesaggistico, credo sia uno dei centri più belli dell'Appennino: montagne, laghi, boschi, storia, cultura. Chiunque arrivava in visita, restava colpito e affascinato dalla ricchezza del territorio e tornava con entusiasmo a trascorrere periodi di vacanze. Anticamente il paese era stato elevato al rango di città. Infatti si chiamava Città dell'Amatrice e poteva anche battere moneta. La pastorizia era la connotazione economica più spiccata. Prima in provincia dell'Aquila, è passata sotto Rieti nell'epoca fascista».

Quali sono i suoi ricordi più intensi?
«Oltre al centro la cittadina si compone di sessantanove frazioni e, da ragazzo, partecipavo al sentito Torneo delle Frazioni, giocavo in porta. Per noi era un appuntamento importante del quale parlavano per tutto l'anno. I lunghi pomeriggi sulle panchine, le storie di ogni singolo, il tempo trascorreva sereno e vivace, anche se con interessi completamente diversi rispetto alla vita attuale».

Ha perso degli amici nel sisma?
«Quelli che sono morti li conoscevo tutti, è successa una catastrofe spaventosa. Siamo diventati grandi insieme, anche se le strade si sono poi divise. Ogni volta che tornavo era una rimpatriata, ci ritrovavamo per un bagno d'affetto. E questo capitava spesso, sia perché ho un'azienda agricola e degli immobili nel paese, sia perché mi piaceva staccare un po' dagli impegni quotidiani e rituffarmi nel passato. Vedere una simile distruzione e la scomparsa di persone care mi ha spezzato il cuore, vivo una sensazione di dolore, qualcosa di indescrivibile. La zona è stata sempre considerata a rischio sismico, anche per terremoti che si sono verificati, però nessuno immaginava che potesse capitare una tragedia di queste dimensioni».
 

Crede che la popolazione saprà rialzarsi e ricostruire tutto come prima?
«La gente di Amatrice è laboriosa, tenace, ricca di forza interiore. Molti hanno fatto fortuna a Roma, come ristoratori in quanto la cucina ha sempre rappresentato una risorsa del paese. Sono certo che, nonostante la tremenda mazzata subita, saprà reagire e ricostruire, magari con l'aiuto delle istituzioni e di tante altre persone. Il paese deve continuare a vivere, ritrovando la propria identità, va rimesso in piedi con sistemi di costruzione antisismica perché la popolazione ha il diritto di vivere senza l'incubo del terremoto».

Quando tornerà in visita ad Amatrice?
«Andrò per portare il cordoglio alle famiglie che conosco e partecipare al loro dolore, che è anche il mio. Ho già avviato alcune iniziative, di carattere benefico, per garantire un primo contributo importante in queste ore di sconforto e bisogno collettivo. Serve l'aiuto di tutti per fronteggiare l'emergenza e guardare al futuro con la voglia di rinascere dalle macerie. Hanno ucciso le persone, non la speranza».