Mafia Capitale: il sistema Pd spazzato via, la città ancora senza bussola

di Ernesto Menicucci
3 Minuti di Lettura
Mercoledì 30 Novembre 2016, 08:50

ROMA Come accadde per Tangentopoli, anche per Mafia Capitale - l'inchiesta che ha travolto la politica romana e squassato i partiti di centrosinistra e centrodestra - esiste un prima e un dopo. Ed esiste, anche, un tempo dilatato: sono passati due anni, ma nella Capitale è come se fosse trascorso qualche decennio. Oggi, infatti, quella classe politica quasi non esiste più, azzerata dalle paginate di intercettazioni, dalle accuse, dallo tsunami che si è abbattuto sul Campidoglio e in parte anche sulla Regione, facendo da detonatore finale ad un sistema che era già marcio da tempo. Molti di quei protagonisti o sono spariti dalla vita pubblica (vedi Lionello Cosentino, che era segretario romano del Pd), o sono ancora nelle maglie della giustizia oppure ancora sono usciti da questi due anni talmente ammaccati da essere difficilmente riproponibili. Una nomenklatura piddina che va da Mirko Coratti, un tempo potentissimo presidente dell'Assemblea Capitolina, passa per Francesco D'Ausilio, primo capogruppo di quella consiliatura, e arriva all'assessore Daniele Ozzimo e Pierpaolo Pedetti, fino al minisindaco di Ostia Andrea Tassone, intorno al quale il commissario dem Matteo Orfini voleva costruire la giunta della legalità poco prima che lo stesso Tassone venisse arrestato nella seconda ondata di Mafia Capitale. E poi ci sono i vari esponenti del centrodestra, dall'ex sindaco Gianni Alemanno (per il quale è caduta l'accusa di associazione mafiosa) fino all'ex capogruppo regionale Luca Gramazio (uno dei pochi ancora in carcere) e al consigliere comunale Giordano Tredicine, il rampollo della famiglia di ambulanti e caldarrostai che da decenni imperversa nel Centro di Roma.

LE RELAZIONI
Tutto finito, tutto spazzato via. Così come, alla fine, è stato travolto dall'onda che lui stesso aveva provato a cavalcare anche lo stesso Marino, che si auto-issò ad argine del malaffare e che poi, prima ancora dello scontrino-gate, è stato demolito come immagine pubblica da una serie di relazioni (prefettura guidata da Giuseppe Pecoraro, prefettura guidata da Franco Gabrielli, ispettori del ministero dell'Economia) che dimostravano come la sua amministrazione, al di là dellebuone intenzioni, non avesse spezzato il giro di affari delle cooperative di Buzzi e soci. Quel sistema, oggi, non esiste più. E, a due anni di distanza, è stato sostituito da una risposta più di pancia che politica, incarnata dal Movimento Cinque Stelle e da Virginia Raggi che, senza nemmeno troppa fatica, ha incassato il 67% alle comunali di giugno scorso. Segno, evidente, che i vecchi partiti erano in una crisi (irreversibile?) che Mafia Capitale ha solo accelerato.
I segni della decadenza, in effetti, erano ben visibili anche prima del 2 dicembre del 2014 e partono, per quanto riguarda il Pd, dall'ultimo Veltroni. Da allora i dem vivono una lughissima crisi, fatta di correntismo, beghe interne, mancanza di un leader territoriale riconosciuto, una lunga traversata nel deserto tra tentazioni di inciucio e la voglia della spallata. Non che sia andata meglio al centrodestra, passato dai fasti delle vittorie del 2008 con Alemanno al Campidoglio e della Polverini alla Regione nel 2010 alla frantumazione recente, segno di una compagine politica che non ha retto alla prova di governo: Alemanno e i suoi si sono seduti alla tavola di un sistema nato con altri portandolo avanti (vedi Parentopoli) in modo ancora più massiccio; Polverini è stata schiacciata dallo scandalo-Fiorito.

LA RISPOSTA DEM
E i dem? La risposta, nel 2013, fu l'esperimento del sindaco proto-grillino (Marino, appunto) e poi, esplosa Mafia Capitale, quella di cercare di arginare il fenomeno tagliando qua e là qualche ramo, senza però bonificare in profondità la pianta. Nei sei mesi del 2015 che passano tra la prima e la seconda ondata, il vero tempo perso dalla politica cittadina, il Pd prima ha blandito l'ex sindaco, poi l'ha difeso a spada tratta, infine lo ha ucciso (politicamente, chiaro). Tutti i tentativi di rimettersi davvero in carreggiata, però, sono naufragati. Il commissariamento Orfini ha sfaldato ancora di più il partito, in una lotta infinita tra bande contrapposte. Il Marino-ter, la giunta varata a luglio del 2015, è durato lo spazio di un mattino e anche l'esperienza commissariale affidata a Francesco Paolo Tronca, il prefetto venuto dal Nord, non ha dato i risultati sperati, anche se era stata annunciata come l'avvento parole renziane di un vero Dream Team. Così, dopo Tronca, è arrivata la Raggi. E la politica romana, due anni dopo Mafia Capitale, sta ancora cercando di ritrovare il bandolo della matassa.