Violazione della privacy, mega multa per Genchi

Gioacchino Genchi
di Cristiana Mangani
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Mercoledì 6 Aprile 2016, 11:05 - Ultimo aggiornamento: 7 Aprile, 19:34
Una sentenza che a Gioacchino Genchi, perito dell'inchiesta Why Not, probabilmente non piacerà. È arrivata a fine marzo e ad emetterla è stata l'Authority per la privacy, l'organismo che più di ogni altro ha avvertito nel comportamento del perito informatico una violazione di tutte quelle regole di riservatezza previste da regolamenti e leggi. Il consulente tecnico è stato condannato a pagare la somma di 192 mila euro a titolo di sanzione amministrativa per quattro violazioni che il garante Antonello Soro gli ha contestato a conclusione di una lunga istruttoria.

I DATI
Il comportamento dell'esperto è stato considerato fuori dalle regole, perché - scrivono all'Autorithy - «la banca dati da lui custodita anche a conclusione delle indagini giudiziarie per le quali era stato chiamato come perito, conserva informazioni personali di carattere anagrafico consistenti in 1.162.510 record presenti nella tabella Anagrafe-soggetto, e in 576.324 record presenti nella tabella Anagrafe/prov. Inoltre - specificano ancora nel verdetto - sono presenti i tracciati di 351.991.031 comunicazioni telefoniche e le informazioni relative ala titolarità di 13.684.937 utenze telefoniche». Numeri che sono difficili persino da scrivere e che Genchi ha inserito in un database al quale si poteva accedere con una regolare password. Codice che - secondo la privacy - avrebbe messo a disposizione anche di terzi, compresi una ventina di giornalisti. Sebbene le persone che figurano negli elenchi potrebbero non essere più sottoposte ad alcun tipo di indagine o di controllo investigativo.
 
L'esperto, però, riteneva di poter continuare a conservare tutti questi “segreti”, perché «dati acquisiti nell'espletamento di incarichi di consulenza attribuitigli, nel corso degli anni, da varie autorità giudiziarie in numerosi procedimenti penali». E anche perché gli sarebbero serviti - a suo dire - «per far valere un diritto in sede giudiziaria in ragione delle numerose cause nelle quali ha figurato in veste di indagato, imputato o parte offesa, e dei contenziosi civili, amministrativi e tributari». Sono state diverse, infatti, le procure che si sono occupate della conservazione di questi dati e dei suoi comportamenti. Compresa quella di Roma che lo ha indagato per acquisizione illegittima di tabulati telefonici di alcuni parlamentari, insieme con l'attuale sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, nel 2009 pm a Catanzaro. Inchiesta che è finita a processo e si è conclusa il 21 ottobre del 2015 con l'assoluzione da parte della Corte d'Appello.

LA DUPLICAZIONE
La sentenza del Garante ha ritenuto che «la attività di consulente tecnico dell'autorità giudiziaria esercitata fin dal 1992, gli aveva permesso di alimentare costantemente un database con dati personali, dati di traffico telefonico e comunque relativi a utenze telefoniche e dati giudiziari, e che deve attribuirsi agli Uffici giudiziari che hanno conferito l'incarico». E anche che «la successiva duplicazione di tali dati e la conservazione degli stessi nel database non risultano essere ricomprese tra le operazioni di trattamento previste negli stessi incarichi che, di regola - sottolineano - avevano un termine di sessanta giorni e a tale termine si deve far riferimento per stabilire il limite di conservazione dei dati». Dunque - concludono - «Genchi ha costituito un database in assenza di specifico incarico da parte dell'autorità giudiziaria e lo ha alimentato con i dati acquisiti nel corso delle proprie attività di consulenza, utilizzando il patrimonio informativo in esso contenuto per finalità ulteriori rispetto a quelle correlate dagli incarichi ricevuti. Elementi che confliggono con il principio di liceità della conservazione dei dati personali».
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