Nigeriano ucciso a Fermo/ Il filo rosso dell'odio nel cortile sotto casa

Nigeriano ucciso a Fermo/ Il filo rosso dell'odio nel cortile sotto casa
di Maria Latella
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Giovedì 7 Luglio 2016, 08:42 - Ultimo aggiornamento: 11:31
La prima reazione è: «Ma davvero vogliamo vivere in un Paese cosi?». Davvero vogliamo che i ragazzi italiani crescano in questo modo?Cioè che crescano pensando che è ammesso insultare una donna, e insultarla solo perché ha la pelle di un colore diverso e poi scazzottarsi con l'uomo che la difende, fino a farlo morire? È questo il futuro che vogliamo per loro e per noi?

Se la risposta e' no, se questo futuro ci angoscia, allora bisogna agire sul presente. Subito. Perche' quel che e' accaduto a Fermo, fino a ieri pacifica provincia marchigiana, riguarda tutti ed e' solo l'ennesimo inquietante segnale di come stiamo diventando.

Emmanuel Chidi Namdi, 36 anni, nigeriano, era scampato alla pulizia etnica di Boko Haram, in Nigeria la sua famiglia era stata sterminata in uno degli attacchi portati alle chiese cristiane e in una chiesa, anzi nel seminario vescovile di Fermo guidato dal parroco don Vinicio Albanesi, aveva trovato accoglienza insieme alla giovane moglie Chinyery, 24 anni.

Due giorni fa era con lei, nel centro di Fermo, quando un suo coetaneo, un trentacinquenne italiano che le cronache identificano come ultra' della squadra di calcio locale ha insultato Chinyery, chiamandola scimmia africana.

Emmanuel ha reagito, l'ha colpito con un paletto della segnaletica stradale e l'italiano gli ha restituito un pugno. Il nigeriano e' caduto, ha battuto la testa. Ieri è morto.

Tra i due mondi, e tra le due storie, c'e' una distanza abissale. Emmanuel a 36 anni ha visto morire la sua famiglia per la follia di una guerra di religione. Con la forza della disperazione e' riuscito a fuggire dalla Nigeria, e' riuscito a sopravvivere a nuove violenze in Libia, con Chynyery ha affrontato la traversata in mare fino in Italia. Aspettavano un figlio che non ce l'ha fatta a reggere alla prova, ma dopo tanto dolore ora si sentivano al sicuro. A Fermo, in Italia.
 
Chissa' per cosa si sentiva invece insicuro il trentenne italiano, coetaneo di Emmanuel. Quali certezze sentiva incrinate dalla presenza delle scimmie africane lui che per tutta biografia e' ultra' della Fermana, nemmeno qualche anno in poche frasi per dirla con Guccini. Una sola parola: ultra. Chissa' quali veleni gli sono stati inoculati, per aver avuto bisogno di sentirsi forte con una debole, donna e nera.

Il parroco, don Albanesi, dice che c'e' un filo rosso che parte dagli attentati alle quattro chiese della Diocesi di Fermo e arriva fino all'aggressione alla coppia nigeriana. E'lo stesso giro delle bombe davanti alla chiese. Messe da quelli che credono di appartenere alla razza ariana. Messe per punire i sacerdoti che accolgono chi scappa dall'inferno nigeriano. Bombette' avranno detto a Fermo. evidentemente sottovalutando, declassando la cosa a ragazzate di provincia.

Solo che a organizzarle sono ragazzi di 35 anni. Adulti che a quell'eta' fanno ancora gli ultra, pensano che il massimo del dolore sia la sconfitta della squadra del cuore. Delle sofferenze di gente come Emmanuel non sanno e non vogliono sapere.

Se la sua famiglia e'stata sterminata in una chiesa in Nigeria e lui, l'africano, trova rifugio in un'altra chiesa, in Italia, allora davanti a quella chiesa va messa una bombetta, Se ne stiano a casa loro.

Per citare ancora Guccini; Noi corriamo sempre in una direzione. Quale sia e che senso abbia chi lo sa. Sara' meglio fermarsi, perche' la direzione che stiamo prendendo un senso ce l'ha e non promette niente di buono.
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