Il presidente della quarta sezione di Palazzo Spada, Antonino Anastasi, ha respinto la richiesta di una misura cautelare monocratica, non riconoscendo l’urgenza di decidere immediatamente sulla richiesta di sospensiva della funzione tra Equitalia e Agenzia, ma ha fissato al 27 luglio prossimo la discussione in camera di consiglio sulla richiesta di Dirpubblica. Ma, soprattutto, lo ha fatto considerando «ammissibili» le doglianze di merito del sindacato, ossia il voler trasferire il personale di Equitalia all’Agenzia senza un concorso pubblico, e «supportate da fumus, alla luce della consolidata giurisprudenza amministrativa e soprattutto costituzionale». Il riferimento, insomma, è alla sentenza della Consulta che ha dichiarato illegittimi, sempre su ricorso di Dirplubblica e del suo avvocato Carmine Medici, 800 dei 1.200 dirigenti promossi sul campo senza procedure aperte a tutti. Aver fissato al 27 luglio prossimo la decisione suilla fusione tra Equitalia e Entrate, rischia di bloccare comunque il procedimento almeno fino a quella data. «Il rischio», spiega il presidente di Dirpubblica, Giancarlo Barra, «è che trasferendo il personale e sopprimendo Equitalia, in caso di bocciatura dell’operazione, poi non si possa tornare indietro e gli 8 mila dipendenti della società di riscossione finirebbero per strada».
LA PROSPETTIVA
Una prospettiva che il sindacato vorrebbe evitare. «Avevamo scritto all’attuale commissario, l’avvocato Ernesto Maria Ruffini», dice Barra, «per chiedere di sospendere l’operazione di fusione fino alla decisione da parted ella giustizia amministrativa. Sarebbe stato un segno di discontinuità rispetto alla gestione passata. Ma l’invito», conlcude Barra, «non è stato accolto».
Quello della soppressione di Equitalia, che lo stesso Ruffini ha guidato da amministratore delegato, non è l’unico problema che il manager si trova ad affrontare in questi giorni. Ruffini è stato nominato dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan al vertice dell’Agenzia delle Entrate al posto di Rossella Orlandi. Ma la nomina non è stata registrata dalla Corte dei Conti, che ha sollevato un problema di incompatibilità. Con un’interpretazione, forse estensiva, della legge Severino, i magistrati contabili hanno sostenuto che non è possibile per chi ha guidato una società controllata poter passare senza soluzione di continuità al vertice dell’amministrazione che lo aveva nominato. Al caso Ruffini, insomma, si applicherebbe la regola nata per chiudere le “porte girevoli” tra politica, amministrazioni e società controllate.
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