Emotività e senso civico/Un Paese solidale solo nelle tragedie

di Sebastiano Maffettone
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Sabato 27 Agosto 2016, 00:32 - Ultimo aggiornamento: 00:41
Ne “Il Marziano a Roma”, un famoso racconto di Ennio Flaiano del 1954, Kunt è un alieno che sbarca da un’astronave a villa Borghese nel bel centro di Roma. Che Italia troverebbe oggi un suo discendente che fuoriuscisse da un veicolo spaziale nello stesso luogo? Che penserebbe di noi e del carattere nazionale? Senza dubbio alcuno riterrebbe che gli italiani sono un popolo generoso e altruista.

Composto di persone che si preoccupano degli altri e sono capaci di enorme solidarietà. E naturalmente non avrebbe tutti i torti a pensarla in questo modo: dopo il recente terremoto effettivamente il Paese si è mosso all’unisono con il desiderio di aiutare i superstiti e essere vicini ai parenti delle vittime.

Questo è un fatto indiscutibile. Il problema invece nasce dal rapporto tra la normalità e la eccezionalità. Che, detto in maniera più chiara, vuol dire che dalle nostre parti la generosità e l’altruismo dei momenti estremi non trovano riscontro nei comportamenti e nei sentimenti di tutti i giorni. Non c’è bisogno di essere lettori assidui di Stella e Rizzo sul Corriere per sapere che ahimé siamo un popolo di persone che non rispettano le regole, che profittano degli altri, che usano il pubblico per scopi privati, che truffano e barano a mani basse. C’è in buona sostanza un italiano Mr Hyde che vive spesso illecitamente la sua quotidiana avventura, e un italiano dr Jekill che al contrario sa essere pronto a donare e a sentire la sofferenza altrui.

Una sorta di latente schizofrenia sembra così essere la cifra più autentica del carattere nazionale, una schizofrenia dove l’ombra della normalità ogni tanto viene interrotta dalla luce del bene comune che di solito si accende in corrispondenza di alcuni drammi collettivi. In verità, quanto detto è scarsamente sorprendente. Se ne sono accorti i grandi scrittori e i comici più sofisticati, da Alessandro Manzoni ad Alberto Sordi per citarne soltanto due. E ne hanno profittato i politici più scaltri, a cominciare dal duce.
 
Fin qui, suppongo si possa essere d’accordo. Il punto è che questa alternanza psicologica ed emotiva non giova alla causa del benessere sociale e civile degli italiani. Non si può vivere seriamente in un Paese che sa sentire il pathos degli eventi estremi ma non sa ragionare con calma per programmare e gestire. E non si tratta di speculazione astratta ma piuttosto di fatti crudi. Gli stessi italiani che ardono dal desiderio di soccorrere gli abitanti di Amatrice magari sono tra quelli che prima hanno costruito le case senza rispettare i regolamenti anti-sisma. Quelli che volentieri donano il loro danaro potrebbero non essere diversi da quanti non pagano le tasse. E potremmo continuare nell’elenco pressoché all’infinito. Per carità, l’Italia abbonda da sempre di santi e di eroi, ma forse abbiamo bisogno di gente normale invece che di santi ed eroi. Quello che ci manca è insomma il rigore del quotidiano, su cui si basa tra l’altro la possibilità stessa di lavorare e produrre con successo.

Stiamo vivendo un comprensibile psicodramma collettivo in cui gran parte del Paese sente come sua propria - sull’onda della copertura mediatica 24 ore su 24 - la sofferenza di chi era nei luoghi del sisma. E questa è cosa buona e giusta, dopotutto. Ma non basta. La forza delle emozioni e dei movimenti spontanei deve trasformarsi in capacità istituzionale: solo un rinnovamento dell’etica pubblica può riuscire a sanare quella ferita strutturale tra il normale e il patologico di cui si è detto. Se questo cambiamento politico profondo non ci sarà, ne pagheremo le conseguenze.

Cominciamo con un test semplice: vediamo che succederà tra un paio di mesi. Saranno gli italiani ancora solidali con i superstiti del terremoto oppure li abbandoneranno al loro triste destino, tornando ai fatti e misfatti propri? Se tutto passa come un soffio superficiale lasciando inalterato il sostrato usuale, allora il nostro Paese non ci piace tanto. Ma se invece riusciamo ad adoperare la tempesta emotiva come una leva per migliorare le istituzioni e quindi comportamenti e sentimenti di tutti i giorni, allora siamo sulla strada per diventare quello che non siamo mai riusciti a essere pienamente. Che è poi il motivo per cui francesi, inglesi e tedeschi ci guardano dall’alto in basso. Sarebbe a dire quel Paese normale che vogliamo per i nostri figli e nipoti.

 
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