Milano, strage in tribunale: dal tesserino alla pistola tutti i buchi della sicurezza

Milano, strage in tribunale: dal tesserino alla pistola tutti i buchi della sicurezza
di Claudia Guasco
4 Minuti di Lettura
Venerdì 10 Aprile 2015, 05:59 - Ultimo aggiornamento: 08:10
Entrare a palazzo di giustizia con una Beretta e due caricatori, sparare tredici colpi, uccidere e scappare senza essere bloccati. La «lucida follia» di Claudio Giardiello, come la definiscono gli investigatori, non si sarebbe compiuta fino in fondo se l'omicida non avesse avuto la strada spianata. Per intrufolarsi armato dall'ingresso riservato a magistrati e avvocati munito di un tesserino falso o, peggio ancora, di un documento qualunque mostrato frettolosamente agli uomini della sicurezza. Per fare su e giù dalle scale a caccia delle sue vittime senza che nessuno lo bloccasse. E alla fine uscire da dove era entrato, saltare in sella al suo scooter e far perdere le tracce mentre le unità cinofile ancora lo cercavano tra i meandri del palazzo. Tutto troppo facile per Giardiello, tanto che il Guardasigilli Andrea Orlando avverte: «Sono errori gravi. Ricostruiremo tutte le responsabilità».



IL TESSERINO E IL METAL DETECTOR

La prima è di chi lo ha fatto entrare con pistola e proiettili. Tre ingressi del palazzo di giustizia sono dotati di metal detector, uno solo - quello di via Manara - ne è privo: da lì accedono i difensori, esibendo la tessera professionale. «Ma nessuno guarda che alla foto corrisponda effettivamente la faccia», dice l'avvocato Silvia Castellari. «Il tesserino ha le dimensioni di un bancomat e il mio, anche se recente, è tutto sbiadito. E' sufficiente estrarlo per entrare, non guardano il nome nè la fotografia. Se poi, come immagino ieri mattina alle dieci, c'è la confusione dell'ora di punta, basta anche la tessera dell'autobus per passare. I controlli sono inesistenti». Giardiello ha premeditato la vendetta, le udienze precedenti del processo a suo carico sono state utili per effettuare proficui sopralluoghi e ieri è andato a colpo sicuro: ben vestito, in giacca e cravatta, aria da professionista, si è imbucato arma dal varco di via Manara sventolando qualcosa di vagamente simile a un documento. Sicuro di poterla fare franca.



PERCHÉ NESSUNO HA INTERCETTATO IL KILLER?

«Giardiello sapeva come muoversi», spiegano ora gli investigatori. Però di strada ne ha fatta parecchia: ha sparato nell'aula della seconda penale al terzo piano, è sceso al secondo, ha percorso un corridoio di 80 metri che conduce alla stanza 250 del giudice Fernando Ciampi e ha ammazzato il magistrato alla sua scrivania. «Abbiamo ricevuto la chiamata d'emergenza quando eravamo al settimo piano, dall'altro lato del palazzo», riferisce un carabiniere addetto alla sicurezza. Eppure, nonostante l'allarme, il killer non è stato intercettato. Ha fatto su è giù per l'affollato scalone principale, ha colpito il suo terzo obiettivo davanti a tutti e ha proseguito per coronare il piano di vendetta, eliminando Ciampi. «Lavoro qui da trent'anni, è sconvolgente sapere che nessuno sia in grado di fermare un assassino all'interno del palazzo. Ho paura, qua dentro siamo tutti in pericolo», afferma un cancelliere.



COME HA FATTO A USCIRE INDISTURBATO?

Il sistema di sicurezza, a quanto pare, ha fallito dall'inizio alla fine. Perché Giardiello è entrato armato e indisturbato e uscito senza che nessuno abbia provveduto a chiudere i varchi. I documenti sono stati chiesti soltanto dopo, quando l'edificio veniva evacuato e l'omicida sfrecciava verso Brugherio. «Siamo rimasti in balia di noi stessi - racconta l'avvocato Emanuele Perego - in una situazione di confusione totale, senza che ci dicessero cosa fare». Chi si è buttato sotto le scrivanie, chi si è barricato in cancelleria, chi si è chiuso in camera di consiglio. Il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati ammette il disastro: «Di fronte a un gesto isolato le difese difficilmente possono essere assolute», rileva. «Ci sono state falle nel sistema di sicurezza, ma finora aveva sempre funzionato». Fino a che Giardiello ha dimostrato che chiunque può uccidere in aula e scappare indisturbato. In ogni caso l'ex immobiliarista non è andato molto lontano: i carabinieri l'hanno rintracciato e arrestato a Vimercate. «La centrale operativa ha diramato le ricerche dopo aver saputo quasi subito le generalità del soggetto perché era imputato. Abbiamo ricostruito la vita di Giardiello, dove abitava lui e dove risiedeva la sua famiglia, l'ex moglie con la figlia. Abbiamo verificato i dati della targa dello scooter, che era l'unico mezzo a sua disposizione in questo momento», riferisce Maurizio Stefanizzi, comandante provinciale dei carabinieri di Milano.



È STATO INCASTRATO DALLA TARGA DELLO SCOOTER

Il killer è corso fuori da palazzo di giustizia alle undici e nel giro di mezz'ora è stato avvistato da una telecamera installata a Brugherio. Il comune dell'hinterland è dotato di un meccanismo particolare: il traffic scanner, un sistema di lettura e riconoscimento delle targhe che analizza i flussi di traffico sul territorio e segnala i veicoli ricercati. All'ingresso del paese sono piazzate quattro telecamere, due leggono il numero di targa e le altre due (a colori) riprendono il mezzo. Quando il ”Conte Tacchia” è entrato a Brugherio è stato intercettato e alla centrale operativa è stato avviato un ”alert”. Materializzatosi sul telefonino del capitano dei carabinieri della caserma di Brugherio sotto forma di sms.



ERA INTENZIONATO AD UCCIDERE ANCORA?

A quel punto è stata contattata la pattuglia più vicina e in pochi minuti Giardiello è stato avvisato nel parcheggio del centro commerciale Torri Bianche di Vimercate. E' stato ammanettato mentre si preparava a completare la missione criminale: uccidere un altro ex socio che, nella sua mente malata, era responsabile del fallimento di quella che un tempo è stata una florida impresa.