Cultura antisismica/ L’Italia insegna, ma non impara

di Mario Ajello
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Sabato 27 Agosto 2016, 00:40
Difendersi dai terremoti non è un «dovere dell’intelletto umano» come pensavano Leonardo da Vinci e poi anche Pirro Liborio, l’allievo di Michelangelo che progettò nel 1571 la prima abitazione anti-sismica, dopo che un sommovimento tellurico aveva distrutto Reggio Emilia uccidendo 2.000 persone? Certo che è un dovere dell’intelletto l’autodifesa, ma è uno di quelli meno praticati in questo campo.

Al contrario di un’abitudine che invece è diffusissima: straziarsi di dolore dopo il sisma, senza essersi prima preoccupati troppo di come prevenirlo. E allora, è giunto forse il momento di ribellarsi, tramite una vera e propria rivoluzione culturale, all’io speriamo che me la cavo, come se il sisma fosse una italianissima roulette russa, e recuperare e sviluppare fino a farlo diventare senso comune quel sapere anti-sismico che ci appartiene da sempre.

IL RISCHIO<QA0>
L’Italia che si precipita a costruire o ricostruire verande, invece di mettere tiranti e rafforzare solai, rischia di essere sorpassata rispetto a quella scienza della sicurezza edilizia che dai tempi degli etruschi e dei romani, e poi nel Rinascimento e ancora nel ‘700 fino alle grandi eccellenze nazionali del secolo scorso e anche di questo, può essere un vanto del nostro Paese. Ma anche uno dei suoi paradossi: perché abbiamo esportato i nostri saperi, anche al Giappone e alla California dove i terremoti non fanno più tanta paura come qui, senza diffonderli in casa nostra e sulle nostre case.
Preferendo risparmiare in nome del fatalismo piuttosto che investire per la sopravvivenza o usare i bonus fiscali dei governi per le abitazioni sicure (che soltanto in pochi utilizzano) o fare un pressing civile sulle istituzioni (a cui anche a torto viene data sempre la colpa di tutto). Per spingerle a non concentrarsi soltanto sulla fase del soccorso ma anche sulla promozione di una coscienza e di una mentalità collettiva adeguata a un Paese in cui - secondo le stime più aggiornate - 7 milioni e mezzo di abitazioni sono situate in zone ad alta pericolosità sismica e oltre il 70 per cento non sono garantite contro terremoti importanti.
Eppure, proprio Leonardo avvertiva con lucidità che, contro i terremoti, «se le travi sono incatenate, tengono i muri delle case ben fermi». E sempre il da Vinci fu quello che propose degli «archetti rovesciati», alla base delle abitazioni, per renderle più stabili.
 
LE TECNICHE<QA0>
Andando più indietro, come non ricordare che anche Plinio il Vecchio illustrava tecniche per irrobustire gli edifici e quanto a stabilità gli edifici romani ancora dimostrano dopo vari millenni di averne tanta? Ed era pure prezioso, Plinio, nei consigli di sopravvivenza in caso di sisma: «La fuga, quando vi è tempo» e durante la scossa «ripararsi sotto gli architravi dei muri portanti in prossimità di spigoli o sotto un robusto tavolo».
I romani - precursori della tecnologia e proprio la tecnologia sempre più avanzata, sempre più diffusa e sempre più capace di responsabilizzare resta la chiave per sfidare i terremoti - avevano un singolare strumento di rilevazione delle scosse. Le vibrazioni prodotte dalle lance di Marte, armi considerate come una reliquia del Dio della guerra e in quanto tali venerate, erano ritenute sintomo di un imminente sommovimento tellurico, come ci informa Tito Livio. E insomma non si capisce perché chi, come gli italiani, avrebbe tutte le carte storico-culturali in regola per vivere consapevolmente nella modernità della battaglia anti-sismica volge invece le spalle a questa questione cruciale. Restando indietro rispetto ad altri popoli che patiscono, ognuno nelle proprie dimensioni, questo stesso problema della terra che trema.
Non si capisce perché debbano essere i giapponesi ad avere, per esempio, una tecnologia elementare ma vitale e pop come questa. Una applicazione, chiamata Yurekuru Call, che riporta i dati dell’Agenzia metereologica nipponica. Non prevede un terremoto ma fa suonare fortissimo gli smartphone di 5 milioni di giapponesi pochi secondi prima dell’arrivo di un sisma e anche quei pochi secondi possono essere fondamentali. Ed è solo un piccolo esempio.
IL PASSAGGIO NECESSARIO<QA0>
Il passaggio ormai sempre più necessario e, verrebbe da dire, vitale dal menefreghismo sismico di tipo arci-italiano alla presa di coscienza che non basta avere un grande apparato di soccorso e governi molto impegnati nella fase dell’emergenza, non risulta numeri alla mano neppure troppo dispendioso. Secondo un documento della Protezione civile, un mega-adeguamento anti-sismico di case, edifici pubblici e infrastrutture costerebbe circa 100 miliardi di euro. Mentre ne sono stati spesi 121 (più tutti i morti) in interventi statali di ricostruzione dal 1968 al 2012, ossia dai tempi del Belice a quelli del sisma abruzzese e emiliano.
L’URGENZA<QA0>
Ed è cosi urgente la rivoluzione culturale contro lo choc da day after e l’inazione da day before, perché si tratta di cancellare radicate usanze caserecce e perfino tragicomiche. Come questa raccontata da Erasmo d’Angelis, non solo direttore dell’Unita ma soprattutto uno dei massimi esperti di politiche idrogeologiche e autore di “Italia di fango” (Rizzoli): «Scavando tra le macerie di un paesino distrutto dal terremoto del 1980 in Irpinia, fu rinvenuta la lapide con la quale i cittadini ringraziavano il sindaco che decenni addietro era riuscito a far cancellare il comune dall’elenco di quelli dichiarati a rischio sismico». Ancora prima, all’indomani del sisma di Rimini del 1916, i parlamentari romagnoli fecero revocare i vincoli anti-sismici del 1909 e furono accolti da eroi alla stazione e portati in trionfo. 
In quegli episodi e in tantissimi altri così, il dovere anti-sismico dell’intelletto, che stava a cuore a Leonardo e a Liborio e deve riguardare tutti, non funzionò. Ma adesso, non è più tempo di sconsideratezze. 

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