«Così Woodcock indagava violando le regole dell'ufficio»

«Così Woodcock indagava violando le regole dell'ufficio»
di Valentina Errante
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Martedì 19 Settembre 2017, 09:25 - Ultimo aggiornamento: 20:31

Prima l'affondo dell'aggiunto della pubblica amministrazione, Alfonso D'Avino. Poi la difesa del capo della Dda, Giuseppe Borrelli. Le audizioni dei due aggiunti davanti alla prima commissione del Csm, che dovrà stabilire se avviare il processo per il trasferimento del pm Hanry John Woodcock, sono andate avanti per quasi cinque ore e hanno rivelato ancora quella divisione interna alla procura di Napoli che adesso il nuovo capo, Giovanni Melillo, prova a lasciarsi alle spalle. Ma intanto emerge un altra incolpazione da parte della procura generale della cassazione per il pm napoletano e a sua collega Celeste Carrano. «Grave violazione di legge per ignoranza o negligenza inescusabile».

LA CONTESTAZIONE
La contestazione riguarda l'interrogatorio di Filippo Vannoni, ex consigliere economico di palazzo Chigi, sentito nell'ambito dell'inchiesta Consip come teste il 21 dicembre dai due magistrati. Secondo la procura generale, Vannoni, chiamato in causa dall'ex ad Consip Luigi Marroni, come una delle fonti della fuga di notizie sull'indagine, era stato sentito come teste quando sussistevano gli elementi pr procedere all'iscrizione sul registro degli indagati per violazione del segreto istruttorio. Una violazione dei doveri doveri di imparzialità del codice di procedura penale Insieme a Vannoni, Marroni aveva indicato anche il ministro Luca Lotti, il comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette e il comandante della Regione Toscana Emanuele Saltalamacchia.

L'ACCUSA
Ieri intanto Alfonso D'Avino ribadisce quanto già scritto in una nota, inviata all'ex procuratore Giovanni Colangelo e finita sulla scrivania del procuratore generale Luigi Riello, a proposito delle inchieste coordinate da Woodcock: «Non si è di fronte a un fisiologico sviluppo di reati emersi nel corso delle indagini, bensì ci si trova di fronte a una patologia, peraltro grave, che riguarda i reati contro la pubblica amministrazione, costantemente ricercati per mesi, e anzi anni, sistematicamente, al di fuori della propria competenza e delle regole interne all'ufficio».

I passaggi riguardano l'indagine Cpl Concordia ma, soprattutto, il fascicolo Consip. La richiesta di trasmissione degli atti da parte di D'Avino, nel momento in cui erano emersi episodi contro la pubblica amministrazionen era rimasta lettera morta. L'aggiunto sollecitava uno stralcio, perché i fatti sui quali indagava il collega «non avrebbero avuto alcuna connessione con fatti relativi alla criminalità organizzata».

Per Woodcock, invece la linea da seguire era un'altra: delegare anche un collega del pool che indaga sui reati di pubblica amministrazione nell'inchiesta. Il fascicolo, di fatto, rimase nelle mani di Woodcoock, anche quando Colangelo, in una riunione tra aggiunti, stabilì che i fatti di corruzione dovessero essere separati da quelli di pubblica amministrazione. E inchieste diverse assegnate ai due gruppi.

LA DIFESA
A difendere le modalità di indagine di Woodcock è stato invece Borrelli, a capo della Dda di Napoli da marzo 2014. Atti alla mano, il procuratore aggiunto ha chiarito come l'inchiesta Consip, che ha poi portato a indagare il costruttore Alfredo Romeo e addirittura il padre di Matteo Renzi, Tiziano, fosse nata dalle infiltrazioni della camorra egli appalti dell'ospedale Cardarelli di Napoli. E come sia ancora aperto il filone legato alla criminalità organizzata. Quanto poi al coinvolgimento del pool che indaga contro la pubblica amministrazione, ha precisato Borrelli, era stato lo stesso Woodcock, a chiedere che al fascicolo fosse delegata anche la collega Celeste Carrano, che, appunto, faceva parte del pool di D'Avino.

Ma nelle cinque ore si parla a lungo anche dei vari passaggi dell'inchiesta Cpl Concordia e di quelle indagini condotte da Borrelli sulla fuga di notizie che aveva portato alla pubblicazione della conversazione tra Matteo Renzi e il generale della Finanza Michele Adinolfi sui giornali. Atti che non dovevano essere depositati.

I fatti sono stati chiariti, spiega Borrelli, e l'indagine è finita con l'archiviazione di quattro militari del Noe.

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