Amri, la rete alle porte di Roma del killer in fuga dalla Germania

Amri, la rete alle porte di Roma del killer in fuga dalla Germania
di Sara Menafra
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Giovedì 29 Dicembre 2016, 00:41 - Ultimo aggiornamento: 12:57

A Quattro case intorno a una grossa fabbrica farmaceutica, la Recordati, che un tempo era tra le punte del distretto industriale pontino. E’ a Campoverde, un borgo tra Aprilia e Latina, che Anis Amri, l’attentatore di Berlino, più di un anno fa, ha trascorso circa quattro mesi in attesa di spostarsi verso il nord Europa. Non molto tempo dopo aver lasciato il Cie di Catania con un decreto di espulsione non eseguito in tasca, il giovane tunisino ha raggiunto in provincia di Latina un amico conosciuto proprio nel corso della rivolta di Lampedusa. E da casa sua, vivendo tra spaccio e piccoli espedienti come i suoi ospiti, potrebbe aver cominciato a pianificare attentati in Europa, visto che prima di arrivare si considerava già un salafita e subito dopo la sosta in Italia, sarebbe andato in Bassa Sassonia per addestrarsi con il gruppo di Abu Walaa, il predicatore considerato il leader più autorevole negli ambienti salafiti tedeschi.

IL COMPAGNO DI LAMPEDUSA
E’ sull’uomo che l’ha ospitato, sui segreti e i piani che Amri gli avrebbe confidato, che ora si concentrano le indagini del pm Francesco Scavo. Tunisino anche lui, anche se ora sposato con un’italiana convertita, nel corso della rivolta del 2011 a Lampedusa alla quale ha partecipato anche Amri, era riuscito a far perdere le proprie tracce e a spostarsi sul continente. E’ però sempre rimasto in contatto con l’attentatore ospitandolo tra casa sua e quella di alcuni parenti alla lontana che vivono anche loro in zona.

Da due giorni, entrambe le case, più una terza abitazione, vengono perquisite dagli uomini della Digos di Roma e i conoscenti di Amri sono stati interrogati più volte: tutti i cellulari sono stati sequestrati a caccia dei contatti più recenti con Amri e di qualunque dettaglio che porti all’ipotesi di una militanza attiva nel fondamentalismo islamico. Ma sono soprattutto le parole dell’amico storico del terrorista ad interessare gli investigatori: l’uomo è in carcere da tempo per armi e droga. Un semplice spacciatore forse, o forse qualcuno che a distanza conosceva e seguiva i piani di Amri prima in Sassonia e quindi verso la Francia dove, a febbraio di quest’anno, dice il francese Rfi, Amri aveva provato a comprare armi automatiche. Tra i punti che questi interrogatori potrebbero chiarire è se davero Amri volesse tornare proprio nel centro o sud Italia (in particolare in Sicilia) nel suo disperato tentativo di far perdere le proprie tracce dopo l’attentato di Berlino. 

IL VERTICE A MILANO
Proprio sui documenti che incrociano le informazioni raccolte nell’ultimo anno si è concentrato il vertice tra gli investigatori tedeschi e quelli coordinati dalla procura di Milano. Gli inquirenti vogliono incrociare i contatti telefonici rintracciati nel corso dell’inchiesta su Abu Walaa, l’imam arrestato a novembre dell’anno scorso, con quelli del cellulare dello stesso Amri, per ricostruire con precisione la rete di amicizie e appoggi di cui poteva disporre e stabilire chi possa essere considerato aderente al fondamentalismo islamico, sia in Germania sia in Italia. 
Molto potrebbe significare l’arresto di un presunto complice di Amri avvenuto proprio ieri a Berlino. Stando alle informazioni circolate sulla stampa tedesca, l’uomo, tunisino di 40 anni, sarebbe stato in contatto via cellulare con Amri fino a pochi minuti prima che il camion fosse lanciato sulla folla uccidendo 12 persone. 

IL GIRO DI INFORMATIVE
Di certo, la ricostruzione dell’ultimo anno di indagini sul conto del ragazzo ha del paradossale: da febbraio a novembre scorso il rimpallo di documenti sul suo conto è stato continuo. A febbraio la Francia l’ha identificato mentre provava a comprare armi e nello stesso mese la Germania ha chiesto all’Italia informazioni sul suo conto che arrivano contenute in un “corposo” fascicolo. A maggio, la Germania segnala Amri come soggetto pericoloso, il 10 il suo nome viene inserito nel database della polizia italiana con l’indicazione di contattare immediatamente la Digos per chiunque l’avesse identificato. Eppure, a novembre, pochi giorni prima della strage, i tedeschi nelle informative di intelligence avevano scritto di ritenere «improbabile» che il ragazzo organizzasse concretamente un attentato, sebbene avesse cercato su internet informazioni su come costruire una bomba artigianale e a febbraio, si fosse offerto all’Isis per compiere un attentato suicida. 
 

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