Banche/Prove pericolose che non aiutano a battere la crisi

di Rosario Dimito
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Sabato 30 Luglio 2016, 00:32 - Ultimo aggiornamento: 09:34
E ora dopo i test, gli stress. L’Italia non può lamentarsi. Quattro delle cinque banche partecipanti alla prova l’hanno superata più che bene. Come le altre quattro volte: nel 2010 cinque promosse su 91 scrutinate, nel 2011 cinque promosse su 90, nel 2012 quattro su cinque hanno superato gli esami su un campione di 90, nel 2014 bene 13 istituti italiani su 15 a fronte di 130 partecipanti.

Intesa Sanpaolo si conferma tra le banche “top” in Europa e, una bella sorpresa al secondo posto, è il Banco Popolare nonostante la zavorra di Npl ereditati dal passato. Solo Mps per la terza volta deve correre ai ripari.
Il quinto esercizio di verifica sulla resistenza delle banche europee a sopportare choc sistemici (calo del pil, discesa della Borsa, oscillazioni della liquidità, dei tassi sui titoli di stato, dei prezzi delle case), però, non fa chiarezza sulla trasparenza e stabilità degli istituti. Anzi, rivela ancora una volta l’inutilità di queste prove che alimentano la volatilità dei titoli sui mercati e rischiano di diventare pericolose. Il primo di questi rischi è la spettacolarizzazione con effetti destabilizzanti sugli intermediari e soprattutto, sui risparmi dei cittadini.

Questa prova da sforzo non implica conseguenze automatiche sul capitale: l’Eba ha ripetuto che non ci sono promossi e bocciati perché, diversamente dal test precedente, non sono previste soglie minime di capitale da raggiungere. Però questi risultati confluiranno negli esami di valutazione prudenziale più ampia (srep) di novembre. E quindi l’effetto leva sulla patrimonializzazione è di fatto rinviata in una cornice dove a livello europeo si vogliono rivedere i livelli minimi di capitale attraverso un pacchetto di nuove regole che, se dovesse arrivare, restringerebbe gli spazi per fare impieghi all’economia.

C’è un punto inequivocabile. «Non esiste alcun livello patrimoniale che possa immunizzare totalmente dai rischi di insolvenza di una banca, pertanto, un punto di rottura esiste e prima o poi va trovato», spiega Mario Comana, docente di economia degli intermediari finanziari alla Luiss. Lo stress test sarebbe utile se individuasse questo punto di rottura. Ma per fare questo dovrebbe essere condotto istituto per istituto, con variabili ad bancam, ancorchè sotto la supervisione delle autorità, le quali poi giudicano se vi è un adeguato margine oppure no. Un’idea sarebbe invertire la logica: non soglie uguali per tutti ma ricerca della resistenza individuale e verifica della distanza di ciascun istituto da questa soglia.

Ma entrando nel metodo, queste prove denunciano in toto la loro pericolosa fragilità. Si basano su un approccio statico dei bilanci. In fasi come quelle in corso da qualche anno di tassi a zero, le banche corrono ai ripari modificando le politiche creditizie: se dovesse aumentare il costo della raccolta, gli istituti fanno salire i tassi sugli impieghi, per esempio. Le contromisure (in gergo remediation) che regolarmente i banchieri adottano per fronteggiare le tensioni sono state escluse in questi stress test focalizzati, ancora una volta, su banche commerciali che impiegano e raccolgono denaro dai privati e imprese e non su quelle banche (francesi e tedesche) che, invece, nei loro bilanci hanno tossine, i cosiddetti titoli di livello 3 o illiquidi. Per essere chiari, sono strumenti finanziari paragonabili a “salsicce” dove dentro puoi trovarci di tutto, come contratti derivati che sono scommesse su un certo risultato che hanno come sottostanti indici azionari, valutari ma anche combinazioni azzardate perché i contraenti non posseggono il sottostante.
 
E quando il contratto va chiuso, il prezzo del sottostante nel frattempo è aumentato rendendo più onerosa l’operazione. Il valore di questi strumenti è discrezionale: dallo studio Mediobanca R&S dell’altro giorno emerge che nei bilanci delle banche francesi ci sono 62 miliardi di questi titoli, 37 in quelle tedesche, 7,5 nelle italiane. È evidente che se gli stress test non considerano queste voci di bilancio ma solo i crediti concessi da Intesa Sp o Banco a imprese che per colpa del rallentamento economico non riescono a pagare i loro debiti, la fotografia che ne esce è falsata.
Tirando le somme. Ha senso fondare un test sulla stabilità delle banche simulando una recessione di due anni “profonda”, unitamente a un crollo dei mercati finanziari del 30% e dell’immobiliare del 25%? Non è uno scenario di stress: è una catastrofe. È come andare in vacanza ad agosto sullo Jonio: è ragionevole attrezzarsi portandosi un ombrello, ma portare anche le catene da neve forse diventa eccessivo.
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