Ue, governo e cittadini/ Un prontuario per ribaltare anni di errori

di Oscar Giannino
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Venerdì 26 Agosto 2016, 00:25
Oltre il cordoglio e mentre ancora purtroppo non è definitivo il bilancio delle vittime del sisma che ha colpito Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto, è tempo di un primo schematico prontuario delle cose da fare. Con l’obiettivo, questa volta e dopo decenni, di non occuparsi solo di gestire l’emergenza delle popolazioni e dei centri colpiti mercoledì, bensì di avviare e realizzare una vera svolta sistemica della prevenzione anti-sismica in Italia. Dopo il Consiglio dei ministri che ieri ha proclamato lo stato d’emergenza per i luoghi colpiti e decretato il blocco delle tasse per le popolazioni locali, «serve un Progetto-Italia», ha detto Renzi. E così deve essere. Ci sono almeno quattro capitoli distinti da affrontare, senza alcuna pretesa di essere esaustivi, ma al fine di impostare un dibattito serio.
Cominciando dall’alto, il primo capitolo riguarda l’Europa. Come impostare al meglio le proposte italiane su quantità, modalità, obiettivi e risultati dell’intervento che l’Italia deve proporsi di realizzare. Si tratta di avere idee e proposte chiare sulle risorse, europee e nazionali.

 
E su come impostare la presentazione del progetto nel quadro delle vere e fondamentali “riforme di sistema” del nostro paese, come e forse - per risorse da mobilitare - persino più di quella del lavoro e di quella costituzionale. Vanno distinte questioni che sono diverse.

La prima è quanto si spenderà per l’emergenza, i salvataggi, la messa in sicurezza dei crolli, l’assistenza agli sfollati, il ripristino urgente delle infrastrutture più indispensabili. A questo fine, il Trattato del Fiscal Compact, e le sue interpretazioni autentiche date dalla Commissione Europea, parlano chiaro. Sta scritto esplicitamente che gli Stati contraenti possono deviare temporaneamente dall’obiettivo di medio termine di rientro del deficit pubblico al ricorrere di circostanze eccezionali e per eventi imprevedibili (oltre che in caso di grave recessione), e le calamità naturali rientrano esattamente in tale definizione. Coerentemente sta scritto al comma 2 dell’articolo 81 della nostra Costituzione che “il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali”. Ergo, le spese per l’emergenza sono fuori dal tetto di deficit contrattato con la Ue (e che, come sappiamo, il governo chiederà di sforare ma per altre ragioni).

La seconda questione riguarda le risorse europee per il Progetto-Italia. Dal 2002, a seguito delle inondazioni in Centro-Europa, la Ue ha varato il Fsue, il fondo di solidarietà anti-calamità. Di cui l’Italia negli anni ha beneficiato per oltre 3 miliardi di euro. Ma i fondi europei non servono tanto e solo per le spese dell’emergenza. Il punto è compiere una radiografia accurata di tutti i Fondi europei utilizzabili, di tutti i progetti italiani presentati per il finanziamento da parte del Piano Juncker, e di tutte le diverse possibilità offerte per esempio dalla Bei, per mettersi in condizione di beneficiare del massimo sostegno possibile europeo a quote di cofinanziamento europeo del grande progetto italiano che va lanciato. Sono oltre 1300 i progetti a coordinamento delle regioni italiane avanzati nelle diverse sedi europee e che risultano presentati negli ultimi 2 anni, per il solo contrasto al dissesto idrogeologico. Occorre una cabina di regia seria, perché il rischio sismico ingloba e supera il rischio idrogeologico come ordine di grandezza. 

Poiché il piano italiano deve essere di grande respiro, occorrerà guardarsi dal ripetersi di veti e incomprensioni da parte europea. Se siamo il paese a maggior rischio sismico in Europa insieme alla Grecia, un grande sforzo necessario va riconosciuto come giusto impegno dell’Italia, per evitare di continuare a bruciare vite e risorse. Perché prevenire costa caro, ma costa comunque 4 o 5 volte meno dei danni devastanti da riparare ex post, e risparmia migliaia di vite irrisarcibili. Attenzione anche a chiarire sin dall’inizio che, nel piano degli interventi di sostegno ai privati – famiglie e aziende – di cui parleremo tra poco, non ci possono essere margini di equivoco per considerarli da parte europea aiuti di Stato, come invece e dolorosamente è avvenuto in passato dopo terremoti e alluvioni in Italia. 

Il secondo capitolo riguarda le scelte che deve compiere il governo. L’ordine di grandezza per un piano di 10-15 anni come richiesto da tempo dai rappresentanti dei geologi, ingegneri e Ance, può essere definito intorno agli 80-90 miliardi di euro spalmati in 10-15 anni. Cioè mettendo in conto magari un altro sisma di magnitudo 6 di quelli che ogni 6-7 anni si manifestano in Italia nell’area a rischio 1 appenninica, che giù già va fino a Messina. Ma intanto cominciando quella grande opera di messa in sicurezza del patrimonio immobiliare esistente proprio nell’area 1. In quella a rischio altissimo, dice il servizio studi del consiglio nazionale dell’ordine dei geologi, vivono non più di 3 milioni di persone. Estendendola in maniera più ampia si giunge a non oltre un sesto della popolazione italiana. Qui il primo compito dello Stato è la messa in sicurezza del patrimonio pubblico, di ospedali e scuole, per evitare che continuino a crollare magari anche dopo interventi a fini antisismici nel 2012, come avvenuto nella scuola di Amatrice, o per evitare che i fondi a disposizione non vengano usati, come avvenuto all’ospedale locale, oggi inagibile. 

Sappiamo che il quadro è disastroso: il 75% dei presidi sanitari italiani non è in regola, come 24mila scuole italiane. Ma è di lì che lo Stato deve cominciare, nelle aree a maggior rischio. Oltre che dalla tutela antisismica del patrimonio culturale, artistico e museale, come giustamente ha ricordato Renzi ieri. L’esperienza di questi ultimi 2 anni, in cui pure il governo con Italia sicura ha tentato una svolta sul dissesto idrogeologico con 2,3 miliardi stanziati sommando 2015 e 2016, prova che l’avvio dei cantieri e degli interventi procede purtroppo solitamente a passo di lumaca. Mentre è ovvio che questa volta occorrerà un monitoraggio degli interventi pubblici che coinvolga ogni possibile misura anti-corruzione. La politica italiana si è bruciata le mani con il terremoto dell’Irpinia, in cui i 36 comuni colpiti divennero 687 comuni con interventi finanziati e agevolati, per l’equivalente di 70 miliardi di euro odierni tra Italia ed Europa. Ma di tempo ne è passato, e molti processi penali sulle opere pubbliche hanno dimostrato negli anni cosa bisogna evitare perché crollino comunque, dopo lavori fatti ladrescamente.
Il terzo capitolo riguarda i privati. È assolutamente ovvio che lo Stato non possa realizzare lui gli interventi di messa in sicurezza del patrimonio immobiliare precedente alle norme antisismiche del 2009, cioè il 99%. Il punto delicato è come agevolare i privati a farlo.

L’ideale sarebbe un uso largo ed esteso degli sgravi fiscali, la cui copertura in bilancio concorre alla cifra complessiva di 80-90 miliardi. Innanzitutto occorre concludere l’iter di definizione delle diverse classi di rischio degli immobili pre-2009, per tipologia e tipo di area in cui insistono: i lavori della commissione incaricata si erano conclusi, ma l’esito finale si è perso nel cambio di testimone tra Lupi e il ministro attuale. A quel punto dovrebbero entrare in campo gli incentivi, volti a evitare anche l’abbattimento radicale del valore immobiliare in portafoglio alle famiglie, una volta note le classificazioni di rischio. E affiancando a questo incentivo un secondo, volto all’assicurazione degli immobili contro il rischio sismico e idrogeologico, un’assicurazione non obbligatoria come la Rca auto ma fortemente agevolata, che anch’essa concorrerebbe a non deprimere troppo il valore di un immobile “storico” certificato come ad alto rischio sismico, finché i privati non realizzassero i lavori di messa in sicurezza. 

C’è infine un quarto capitolo, che riguarda la specificità storica, urbanistica e paesaggistica del nostro paese. Una specificità da preservare come e più del patrimonio “fisico” e “finanziario” del nostro paese. Gli errori del passato vanno evitati. Borghi medievali e tessuti urbani sei-settecenteschi non possono essere rimpiazzati da una new town come fossimo nel Nevada. Gli abitanti andrebbero altrove, e perderemmo quel che l’Italia è per noi tutti e per il mondo intero. Occorre mobilitare architetti e storici dell’evoluzione urbana, oltre al meglio delle scienze della conservazione artistica. 
Lo sappiamo, è facile fare proposte così impegnative, si rischia di apparire velleitari. E tuttavia decenni di errori chiedono riparo a troppo sangue e distruzione. Se ci si crede, l’Italia lo può fare.
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