Amatrice un anno dopo, Carlo, il volontario instancabile: «Mi fermerò un po' solo per andare al cimitero»

Amatrice un anno dopo, Carlo, il volontario instancabile: «Mi fermerò un po' solo per andare al cimitero»
di Raffaella Troili
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Martedì 22 Agosto 2017, 13:05 - Ultimo aggiornamento: 23 Agosto, 00:21

dal nostro inviato
AMATRICE A guardare Carlo Grossi negli occhi sembra che il terremoto sia avvenuto stanotte. Per questo dopo la veglia del 23 agosto, si fermerà, dopo un anno passato a soccorrere, aiutare gli altri come volontario della Protezione civile per conto dell’unità cinofila dei carabinieri.

Sotto le macerie ha perso i figli, Anna e Franco, ora i loro nomi campeggiano sul furgone con cui si sposta. Quella notte maledetta, è stato il prima ad arrivare in via Madonna della Porta 56: ha gridato i loro nomi, scavato e pianto, aiutato dal cane Laga e due amici, alla fine ha ritrovato i corpi dei suoi ragazzi. Da allora non si è mai fermato. Da allora ha vagato per monti e valli portando aiuto, in divisa, le foto dei figli nel telefonino, i ricordi più belli a offuscargli gli occhi.
 



Anna suonava il flauto traverso al Conservatorio a L’Aquila, «era la sua passione, come la mia, a 6 anni già stava nella banda di Nerola». Franco non era entrato a Biologia, era deciso di farcela con Veterinaria. «Mi aveva detto: “ti costerà un po’ papà”, ma che mi importa amore mio gli avevo risposto».

Franco è stato anche l’ultimo nato nell’ospedale di Amatrice, il reparto di Ostetricia era stato chiuso nel ‘93 «ma i medici c’erano, fingemmo un’urgenza, ci tenevo». Carlo, 59 anni, sembra un leone stanco, sfiduciato. «Siamo allo stremo delle forze, ho bisogno di fermarmi un pochino e riposare, non lascerò Amatrice, ma ho bisogno di fare quelle cose che fanno tutti, come andare la mattina al cimitero».

Quelle che lui non ha ancora fatto, intento ad aiutare tutti, soccorrere, accompagnare in ospedale, risolvere problemi. «Dimenticare sarà impossibile, il lavoro mi ha fatto vedere altro dolore, l’ho sempre fatto e non sempre siamo preparati a dare certe notizie, a bussare alla porta e di dire a chi hai davanti che ha perso un figlio. Poi è successo a me».
 
 

«E non ti abitui mai, ti senti sempre uno zero. Dove andrò? Vedo tante pecore smarrite come me in giro, nessuno ha più il suo ovile, io non trovo punti dove fermarmi, non so stare da nessuna parte, sto male dappertutto, mi sposto in continuazione». In passato infermiere all’Umberto I, poi passato all’Ares 118 di Rieti, una vita di volontariato, ha visto quattro terremoti. Di sicuro si fermerà pochi giorni, di certo continuerà ad aiutare tutti, con la sua divisa piena di stemmi.

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