Alitalia/ Dieci anni di errori strategici, la sfida sulla rotta americana

di Oscar Giannino
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Venerdì 13 Gennaio 2017, 00:55
Il ministro Carlo Calenda ieri ha perso la pazienza, ha posto fine alla diplomazia, e ha detto ruvidamente che Alitalia è una compagnia gestita male.
Non esiste parlare di esuberi se prima non si produce un piano industriale. Non esiste parlare di esuberi se prima non si produce un piano industriale. Piano industriale in assenza del quale i sindacati non trattano neanche la sospensione degli scatti stipendiali, figuriamoci esuberi di cui per altro, in queste settimane, ciascuno ha scommesso su cifre sempre più alte: 600, no 1400, no duemila, e via continuando.

L’ultimo avviso di Calenda in realtà è giustificato. Intesa e Unicredit, il pilastro residuo del 51% di azionariato italiano della compagnia, hanno appena rinnovato la disponibilità a un ponte finanziario per alcune centinaiadimilionidi euro,che serve a garantire liquiditànon certo a risolvere il nodo strategico del futurodellacompagnia. Ma le banche hanno rapporti tesi con l’amministratore delegato Cramer Ball e con il vicepresidente James Hogan, espressione di Etihad che nel 2014 intervenne a sostegno dell’ormai fallimentare gestione italiana guidata da Colaninno, subentrata allo Stato nel 2008. Il nuovo piano di cui molto si è parlato in queste settimane, 158 pagine, non è di fatto condiviso tra soci italiani e compagnia di Abu Dhabi. Le banche italiane non sono più disposte a ricapitalizzare ulteriormente, perché il piano emiratino del 2014 ha anch’esso clamorosamente mancato gli obiettivi. Le perdite di Alitalia privata sono state di 327milioni nel 2009, 168 nel 2010, 69 nel 2011, per poi riprecipitare a 280 nel2012, 569milioninel 2013, 580 milioni nel 2014, 199 nel 2015.

E si parla nuovamente di una cifra tra 400 e 500milioninel 2016. In quest’ultimo biennio si è pagato lo scotto di una composizione di flotta figlia della fusione con Airone, che fu il pilastro della privatizzazione 2008 patrocinata da Intesa e dal governo Berlusconi. Una flotta in cui i largamente prevalenti velivoli a corto-medio raggio hanno impedito alla compagnia il segmento a lungo raggio che è l’unico lucroso. Mentre AirFrance e Delta Airlines, con cui Alitalia condivide l’appartenenza in Sky Team, a fronte anche della crisi della compagnia francese hanno fatto tutto il possibile per ostacolareAlitalia sulle rotte americane, malgrado l’accordo esplicito esistente in materia tra i vettori. E nelmercato italiano la strategia di Ryanair l’ha portata a diventare la prima compagnia per passeggeri serviti, devastando la stessa ipotesi di federaggio verso hub intercontinentali affidata da Etihad ad Alitalia sul nostro mercato. Tanto era chiaro dove si stava andando, che Adr, la società che gestisce lo scalo di Fiumicino, nel 2015 ha puntato tutto sulla crescita delle low cost, spalancando giustamente le porte a Ryanair, Vueling e Easyjet, cosa che ha dato la mazzata finale al piano Etihad-Alitalia.

Per fare un solo esempio, se ieri sera aveste cercato un volo per Bruxelles da Fiumicino, Ryanair lo offriva a 32 euro stamane malgrado il pochissimo preavviso, Alitalia ve ne chiedeva 262,66. Inutile piangere sul latte versato per decenni, dalla duplice intesa fallita prima con Klm e poi con AirFrance-Klm ai tempi tentata dal prodiano Mengozzi – che aveva ragione da vendere – fino al muro contro Air France nel 2008, opposto da sindacati e politica con Berlusconi che giocò la difesa dell’italianità in chiave elettorale. Gli azionisti privati di Alitalia hanno bruciato un mucchio di propri quattrini, e ai contribuenti italiani la generosità del sostegno pubblicoallasoluzionedel 2008 è costata circa 6miliardi, sommando 3miliardi di costo del fallimento pubblico, e altri 3 tra cassa integrazione e mobilità per 7 anni all’80% di stipendio alle migliaia di esuberi (fin qui, costo di 1,6 miliardi), perdite fiscali e investimentoaperderediPoste Italiane.

A questo punto le ipotesi non sono molte, e sono tutte onerose. Perché il ritorno all’utile per ciascuna strada possibile chiede comunque anni: di minori perdite, ma sempre di perdite. La premessa è che con ogni probabilità imanager Etihad attuali sono da considerare in uscita, per Hogan si parla di una poltronona in Iata. Poi bisognerà rapidamente capire se Etihad – a propria volta in difficoltà rispetto ai risultati straordinari di Emirates che a Dubai fa capo unamaxi flotta di solo lungo e lunghissimo raggio, e a Qatar Airways che punta a entrare in British Airways – intende abbandondare per Alitalia l’ipotesi stand alone. Per affiancarla in Europa alla sua malmessa Airberlin in un avvicinamento a Lufthansa, mossa ostacolata però dal fatto che Alitalia sta in Sky Team, Airberlin in Oneworld, e Lufthansa in Star Alliance, cioè ciascuna in una grande alleanza internazionale distinta. Alitalia diventerebbe così una compagnia regionale per apportare traffico domestico verso la Germania, oltre che verso Abu Dhabi. Ma in ogni caso bisognerebbe liberare Alitalia dal fallimentare accordo sulle rotte verso gli Usa che la lega adAirFrance eDelta: e solo per questa eventuale mossa la cifra che gira sta sui 240 milioni.

Sommando le perdite attese anche nel caso di separazione tra un’Alitalia1 di lungo raggio (e pochi velivoli) e un’Alitalia2 rimodellata verso il low cost, dovendo mettere a terra almeno 15 aerei e risparmiare sui costi significa continuare a perdere almeno 150-200 milioni entro un paio d’anni, prima di vederne gli eventualirisultati. Le banche italiane non intendono rimettere mano al portafoglio e chiedono che il piano sia dettagliatamente loro sottoposto. Etihad non può salire nel capitale oltre la sua quota attuale perché altrimenti Alitalia perde i diritti Ue divenendo controllata da extraeuropei e c’è il boccone amaro per il governo di vedere di fatto riconoscere come prioritari gli hub tedeschi.Difficile vedere una soluzione entro tre settimane, che è l’impegno ieri ribadito ufficialmente dal presidente Montezemolo. L’ipotesi ultima è la rinazionalizzazione: ma il governo non se la può permettere, dopo tutti i miliardi persi dallo Stato nell’Alitalia pubblica e il successivo oneroso scivolo pubblico alla privatizzazione del 2008. Per lo Stato significherebbe non solo rimettere mano al portafoglio, ma facendolo si troverebbe in prima persona esattamente con gli stessi problemi sopra elencati da affrontare. Che lo stellone ci aiuti. 
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