Perché contenevano, agli occhi di quella società aperta, una sorta di tradimento profondo del tipo: io accolgo i nuovi venuti, do loro fiducia e futuro, e in cambio ricevo il male. Insomma, non c’è affatto razzismo nelle parole - che avrebbe potuto scandire meglio - della Serracchiani. Sono di buon senso. Contengono la constatazione, facilmente sottoscrivibile da chiunque tranne che dagli ideologi insinceri del mainstream, secondo cui il Paese che accoglie merita rispetto. L’accettazione delle regole vigenti nel Paese ospitante è il pre-requisito su cui si basa la reciprocità. O meglio, la civiltà.
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