Monito a cristiani e islam/ Il no di Bergoglio ai crociati

di Francesco Ruffini
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Lunedì 30 Novembre 2015, 00:14
Ieri il Papa ha aperto il Giubileo straordinario della Misericordia nella Repubblica Centro Africana, spingendo le povere tavole di cui è fatta la porta della cattedrale di Bangui.
Oggi, andrà a visitare la moschea della città attraversando quel “chilometro 5” dove da tre anni chiunque lo percorra, in ambedue i versi, firma la sua condanna a morte. Lo vedremo abbracciare l’imam della moschea, a cui i salatiti locali hanno distrutto casa e famiglia, affinché anche i musulmani possano fidarsi di lui per far sentire la voce della loro coscienza.
Se Stalin fosse ancora vivo non chiederebbe più «quante divisioni ha il Papa?». Ma dal 13 marzo del 2013, quando appena eletto Bergoglio si affacciava dalla loggia di San Pietro e si inchinava al popolo per chiederne la benedizione, anche l’ironico leader dell’allora Urss si preoccuperebbe di sapere: «Dove stanno le divisioni del Papa?». Dalla favela di Varginha, a Rio de Janeiro, ai rifugiati musulmani nell’aeroporto di Bangui che ieri gli si sono stretti intorno, Papa Francesco sta dimostrando che l’aspirazione del Concilio Vaticano II a far diventare la Chiesa voce e compagna dei dannati della Terra non era vana. Non sono chiacchiere devote ma fatti. Un recente convegno romano, una sorta di “stati generali” della scuola cattolica, ha fornito dati impressionanti.
La Chiesa di Roma ha aperto e sostiene 128.000 istituzioni scolastiche sparse nel mondo, tra cui 1900 università; la maggioranza di esse sorte dopo gli anni Sessanta in quei Paesi dove le potenze coloniali prima e quelle statali poi, non hanno investito nel campo dell’istruzione. Scuole di ogni ordine e grado, aperte anche dove ai cattolici non solo è impedita ogni manifestazione pubblica della loro fede, ma è imposto il silenzio all’interno delle aule scolastiche.
Uno sforzo enorme compiuto dai cattolici del mondo e privo di alcuna impronta di proselitismo, cresciuto in appoggio ai piani che l’Unesco, l’agenzia Onu delegata alle proposte educative, ha man mano sviluppato illudendosi di poter contare sulla “solidarietà” dei Paesi ricchi in favore di quelli “poveri”. Chiesa Cattolica a parte, chi ricorda ancora i “Millenium goals” proclamati dall’Assemblea Generale Onu nel 2000 alla presenza di tutti i capi di stato del Pianeta? Quindi, oltre al suo carisma personale, quando Papa Francesco entra nelle favelas, nelle villas miserias, negli slums di Asia e Africa sa bene che le sue “divisioni” lì sono costituite solo da coloro che escono in strada per incontrarlo e salutarlo. E forse è qui che si situa il suo vero ruolo politico.
Ma perché ha voluto così ostinatamente recarsi a Bangui, in una Repubblica Centro Africana da sempre anello debole della Francafrica disegnata ed eterodiretta, dai tempi di Giscard d’Estaing in poi, da tutti i capi di stato Francesi? Perché è il Paese dove alle milizie islamiste (i Seleka), importate dai salafiti locali, i cristiani hanno opposto una loro milizia (antibalaka) anch’essa non esente da infiltrazioni straniere.
E perché un cattolicesimo identitario è la negazione di tutta la dottrina sociale della Chiesa e costituirebbe un vulnus in quel nuovo modello di coesistenza tra cristiani e musulmani numericamente “equivalenti” in molti Paesi dell’ex Africa coloniale francese, che tutti (musulmani compresi) ritengono fondamentale per gli sviluppi dei rapporti interreligiosi nel Continente Nero e altrove.
È’ un modello che supera la dhimmitudine, la cittadinanza araba di second’ordine per i non musulmani, nel quale lo statuto giuridico della persona è uguale per tutti e la confessione religiosa non rappresenta un ostacolo per l’esercizio democratico di un potere politico e pubblico.
Nel frattempo, da ieri, a Parigi, le consumate scarpe di Bergoglio aprono la sfilata delle 20.000 paia di calzature che, simbolicamente, camminano verso la prossima conferenza Onu sulle risorse del Pianeta. Le divisioni del Papa? Stanno lì, dove troppi piedi nudi calpestano Terre depredate per l’egoismo di pochi.