Violazione delle regole europee
la Germania come l'Italia

Violazione delle regole europee la Germania come l'Italia
di Marco Fortis
6 Minuti di Lettura
Lunedì 4 Gennaio 2016, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 5 Gennaio, 08:46

L’Italia fa bene a rispettare le regole europee. Ma il nostro governo ha però anche ragione nel sottolineare che molti altri Paesi le regole non le rispettano affatto. E fa bene a dirlo in modo chiaro, perché così facendo può pretendere che l’Italia sia trattata alla pari degli altri nonché considerata con maggiore equilibrio e non più sulla base di pregiudizi abusati che hanno stancato.

IL PARAMETRO DEFICIT
Si prenda, ad esempio, il famoso parametro del deficit/Pil. Considerando i 19 Paesi dell’Eurozona e la Gran Bretagna, vi sono soltanto tre nazioni che negli 5 ultimi anni (2011-2015) non hanno mai sforato il tetto del 3%: Germania, Austria ed Estonia. Ma ve ne sono anche soltanto altre tre che lo hanno fatto in unico anno, tra cui l’Italia (accadde nel 2011, dopodiché il nostro Paese è stato in regola ininterrottamente dal 2012 in poi), assieme a Malta e alla Lituania. Le maggioranza delle altre 16 nazioni considerate ha violato il tetto del 3% sistematicamente, cioè non 2 bensì 3, 4 volte o addirittura tutti i 5 anni, con la palma dei peggiori che va a Slovenia e Belgio (3 volte), Irlanda, Portogallo e Cipro (4 volte), Grecia, Spagna, Francia e Gran Bretagna (5 volte). La stessa rigorosa Germania non rispettò in passato il parametro deficit/Pil per ben cinque anni consecutivi, superando il 3% dal 2001 al 2005 mentre realizzava il suo ambizioso programma di riforme. A differenza dell’Italia, che nel biennio 2014-15 le riforme invece le sta facendo in un tempo più concentrato della Germania, ma senza violare il 3%. Anzi chiudendo il 2016 al 2,6% di deficit/Pil: un risultato che Francia e Spagna non conseguono dal 2007 e la Gran Bretagna addirittura dal 2002.

GLI SQUILIBRI MACRO
Ma tra le regole che l’Europa si è data vi sono anche quelle della Procedura sugli squilibri macroeconomici, adottate purtroppo quando i buoi erano già scappati. Cioè quando i nuovi parametri sul debito privato, sull’eccesso di flusso di credito al settore privato e sulla crescita troppo rapida dei debiti degli operatori finanziari (aspetti mai prima minimamente considerati da Bruxelles) furono inseriti ormai fuori tempo massimo tra le regole che avrebbero invece potuto segnalare e prevenire la bolla immobiliare già drammaticamente scoppiata negli anni precedenti in Paesi come la Spagna, l’Irlanda e la Gran Bretagna. Oggi le regole sugli squilibri macroeconomici ci sono ma la Commissione europea continua a fare la voce grossa soprattutto nei riguardi di Paesi come l’Italia che da anni hanno un alto debito pubblico che tuttavia non ha mai creato problemi a nessuno (data la solidità della nostra economia privata e il nostro surplus statale primario), mentre da Bruxelles la voce è invece alquanto flebile con la Germania, che negli ultimi 8 anni, dal 2008 al 2015, ha superato per ben 6 volte la massima percentuale consentita di surplus della bilancia di conto corrente (fissata al 6% del Pil).

In realtà, una più attenta e meno autoreferenziale lettura storica degli squilibri macroeconomici permetterebbe alla Commissione Europea di rivedere, da un lato, il giudizio sempre troppo severo sull’Italia e, dall’altro, di mettere i Paesi realmente più inadempienti di fronte alle loro responsabilità, a cominciare dalla Spagna che, anche se trattata con manica larga (e dopo averle pure salvato il sistema bancario a condizioni di favore), non solo non rispetta da anni il parametro del deficit/PIL ma è anche la nazione dell’Eurozona che in assoluto più viola i parametri sugli squilibri macroeconomici.

LE SOGLIE SUPERATE
La nostra non è una opinione ma una semplice constatazione. Infatti, gli indici base di squilibrio macroeconomico monitorati dalla Commissione europea sono 11 (a cui ne sono stati aggiunti quest’anno altri 3 che tuttavia qui non considereremo perché sono semplicemente uno spaccato di dettaglio del tasso di disoccupazione, già compreso negli 11 indici base). A ciascuno di tali indici sono associate delle soglie che in linea di principio non dovrebbero essere superate. Ad esempio, il debito pubblico non può superare il 60% del Pil, il debito privato il 133% del Pil, il tasso di disoccupazione il 10%, eccetera. Recentemente la Commissione ha pubblicato per i Paesi dell’Ue le serie storiche degli indici di squilibrio macroeconomico dal 2005 al 2014: un periodo di 10 anni che, moltiplicato per gli 11 indici base, dà luogo complessivamente a 110 valori. Di questi, considerando qui per omogeneità sempre i 19 Paesi dell’Eurozona e la Gran Bretagna, chi ne ha rispettati di meno negli ultimi 10 anni è stata proprio la Spagna, che ne ha sforati la bellezza di 63 su 110 (cioè il 57% dei valori).

LE DIFFERENZE
Per capire la differenza tra l’Italia e i cosiddetti Pigs, a cui il nostro Paese è stato nel recente passato ingiustamente associato, basti pensare che negli ultimi 10 anni la percentuale italiana di violazione dei parametri sugli squilibri macroeconomici, nonostante il debito pubblico, è stata appena del 23%. Uno dei valori più bassi che ci pone nel quartile dei 5 Paesi più virtuosi assieme ad Austria (16%), Slovenia (21%), Germania (22%) e Finlandia (23%, come l’Italia). I Pigs sono invece tutti collocati – e non è certo un caso - nel quartile dei 5 Paesi peggiori, assieme a Cipro. Infatti, le percentuali più alte di violazione degli indici di squilibrio nel periodo 2005-14, oltre che quella spagnola sopracitata, sono quelle di Irlanda (54%), Cipro (52%), Grecia (51%) e Portogallo (47%).

DEBITO PUBBLICO E PRIVATO
Gli stessi indici di squilibrio macroeconomico elaborati dalla Commissione europea evidenziano sul piano storico che, mentre Bruxelles negli anni ha prodotto ossessivamente perlopiù regole per controllare il debito pubblico, la crisi dei Pigs, persino quella della Grecia, è in realtà scoppiata a causa di una fortissima crescita del debito privato tra il 1995 e il 2008 e della squilibrata posizione finanziaria estera di questi Paesi (a cui ha poi fatto seguito nel 2008-14 una crisi derivata del debito pubblico).

Mentre tra il 1995 e il 2008 l’Italia aveva invece ridotto il debito pubblico e mantenuto uno dei più bassi livelli di debito privato in Europa e nel mondo, oltre che una posizione finanziaria sull’estero di assoluta tranquillità. Nel successivo periodo 2008-15 il rapporto debito pubblico/Pil dell’Italia è cresciuto più per il calo del denominatore che per l’aumento del numeratore ed è ora avviato, con la ripresa del Pil, su un sentiero di discesa.

La seconda lezione che si può trarre dagli indici di squilibrio macroeconomico che la Commissione europea si è data (ma che spesso dimostra di non saper leggere) è che all’origine delle crisi finanziarie non sta tanto il livello assoluto del debito (pubblico o privato che sia, interno o estero) ma una sua troppo forte accelerazione in tempi ristretti.

Un aspetto, quest’ultimo, di cui una riscrittura razionale della rigida gabbia proposta dal Fiscal compact - prima o poi inevitabile se l’Eurozona vuole evitare una stagnazione secolare - dovrà in futuro tenere adeguatamente conto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA