Pensioni reversibili/Le unioni civili imporranno di rivedere la previdenza

di Oscar Giannino
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- Ultimo aggiornamento: 6 Gennaio, 00:05
Lo scontro sulle cosiddette “unioni civili” è tornato ad arroventarsi. In teoria, al Senato il dibattito dovrebbe aprirsi tra tre settimane. Ma solo all’ultimo minuto si capirà davvero la soluzione ai tre problemi che dividono i partiti. Il primo è politico. Il secondo riguarda l’adozione concessa a chi ha già figli precedenti alla sottoscrizione dell’unione civile (ma alle coppie gay: sì o no?). Il terzo investe una diversa questione che riguarda i diritti economici: la pensione di reversibilità ai superstiti. Apparentemente, i problemi uno e due sembravano aver trovato soluzione, sia pure all’italiana.

Renzi è intenzionato ad andare avanti comunque, sapendo che Alfano e i suoi voteranno no in nome del fatto che comunque l’adozione, quand’anche non esplicitamente consentita ai gay, di fatto ne sarebbe solo un’anticamera, per un’inevitabile o comunque assai probabile estensione attraverso la pronunzia di qualche giudice. Renzi tirerebbe dritto contando riservatamente sul fatto che Alfano non uscirebbe dal governo e che i 5 Stelle voterebbero il provvedimento, senza per questo modificare la loro opposizione all’esecutivo.

C’è chi pensa che la Chiesa potrebbe mobilitarsi frontalmente contro, e che Renzi dovrebbe o potrebbe tenerne conto. Ma è più probabile che la Chiesa sappia bene che il premier lancia con le unioni civili un messaggio alla sua sinistra, e che un intervento ecclesiale a gamba tesa comporterebbe solo il rischio di un testo ancora più aperto al pieno riconoscimento dei diritti omosessuali.
 
La novità di questi giorni è il terzo tema. Quello della pensione di reversibilità concessa alle coppie omosessuali, ma non a chi sottoscrive un’unione civile eterosessuale. I sostenitori dell’attuale testo invocano a suo fondamento la direttiva europea 2000/78 contro le discriminazioni sul lavoro che, secondo una sentenza della Corte di Giustizia Europea, viene esplicitamente violata in caso di mancato riconoscimento della pensione di reversibilità a coppie omosessuali, che abbiano sancito la loro unione nelle diverse forme oggi previste dai diversi ordinamenti nazionali. Ma c’è chi obietta alla reversibilità, con due posizioni distinte. La prima, allineata al no alle adozioni, considera ulteriormente inaccettabile la pensione ai superstiti tra omosessuali, in quanto ulteriore parificazione dell’unione civile al matrimonio eterosessuale.

La seconda, al contrario, non obietta a consentire la pensione di reversibilità agli omosessuali, ma la invoca per eguaglianza costituzionale anche per i sottoscrittori eterosessuali di unioni civili, altrimenti discriminati e “spinti” per così dire, solo a contrarre un matrimonio vero per vedersi garantita pienezza di diritti.
Se esisterà una maggioranza forte coi 5 Stelle, è facile scommettere che la prima obiezione verrà respinta, mentre la seconda verrà accolta. E qui veniamo però a un punto che nessuno sembra considerare. Al di là di quanto ciascuno può pensare sulle unioni civili e sui diritti da riconoscere loro rispetto al matrimonio, questa riforma dovrebbe spingere il legislatore a una revisione profonda dei criteri che oggi disciplinano la pensione di reversibilità. Sono criteri generosi, molto generosi, fissati quando esisteva solo la famiglia in senso ristretto ex articolo 23 della Costituzione.

Ora che il vecchio vincolo matrimoniale risulta significativamente allentato dalla nuova disciplina del divorzio breve introdotta 10 mesi fa, con 6 mesi soli di separazione pre divorzio in caso di separazione consensuale tra i coniugi e in 12 mesi la separazione in caso di giudiziale, ora che si vuol procedere all’estensione della pensione di reversibilità anche ai contraenti dell’unione civile, non ha più senso adottare i vecchi criteri. Se la famiglia è istituzione più debole per l’ordinamento, allora vanno modificati i criteri che ne traducevano la centralità e stabilità precedente in concreti diritti patrimoniali e reddituali. Per quanto riguarda l’entità dell’assegno divorzile di fatto sta già avvenendo non per legge ma nella giurisprudenza. Fatta 100 la media rispetto al reddito precedente dei primi anni di giurisprudenza nel determinare l’assegno, siamo ormai scesi verso quota 40 e anche 30.
A maggior ragione dovrebbero essere modificate le norme sulle pensioni di reversibilità ai superstiti, che ammontano ormai nel 2015 alla bellezza di circa 40 miliardi di euro con 4,8 milioni di assegni.

A oggi, al trattamento di reversibilità è ammesso il congiunto di un familiare scomparso che abbia maturato 15 anni di contributi o anche solo 5 anni, almeno 3 dei quali, però, nel quinquennio precedente la data della morte. E anche se lo scomparso era titolare di un assegno di invalidità. In percentuali diverse la pensione di reversibilità è ammessa per il coniuge, in sua mancanza a figli e nipoti, e via via, a determinate condizioni, anche ai genitori del defunto. Per il coniuge, il trattamento va oggi anche al superstite separato, se riceveva l’assegno alimentare. E a quello divorziato, se riscuoteva l’assegno divorzile e non si è risposato. Se si era risposato il defunto, la reversibilità si divide tra secondo coniuge dello scomparso e precedente coniuge non risposato. E se vi risposate invece come superstite dopo aver incassato la reversibilità, allora perderete sì il diritto ma in cambio di un assegno finale una tantum pari a due anni di trattamento.

Tutte queste regole relative alla reversibilità pensionistica tra coniugi, o almeno sicuramente le percentuali degli assegni se non i diritti a incassarli, non possono restare eguali al passato, in un paese dove l’Inps sta in piedi grazie a circa 100 miliardi di trasferimenti annui a carico della fiscalità generale. Personalmente penso da tempo che già dovremmo rivedere quelle regole relative ai coniugi, commisurando la reversibilità anche all’età anagrafica del percipiente e alla sua occupabilità, per evitare il fenomeno delle ventenni badanti che sposano ottantenni mirando alla pensione. Ma a maggior ragione è irragionevole sostenere che abbia senso, assegnare una pensione di reversibilità al sopravvissuto di un precedente co-contraente di unione civile, quand’anche entrambi ne avessero intanto contratte altre, come capita oggi tra coniugi…

A questa osservazione critica, i sostenitori della pensione a superstiti nelle unioni civili tra omosessuali hanno sempre replicato che non c’era assolutamente da preoccuparsi in termini di finanza pubblica: perché proiezioni alla mano della diffusione di unioni simili sulla base di quanto avvenuto in paesi che le hanno riconosciute (o hanno introdotto il vero e proprio matrimonio gay), legittimano a pensare che in Italia avremmo non oltre 2500 coppie gay che sottoscrivono l’unione civile il primo anno, e non oltre 85 mila cumulate entro il 2030. Il che significa, applicando tassi di mortalità attesi ed età dei contraenti, un aggravio sul bilancio Inps nell’ambito di pochi milioni di euro.
Ma questa obiezione non coglie il punto. Primo, se si riconosce la reversibilità alle unioni civili tra gay bisogna farlo come abbiamo visto anche per quelle tra eterosessuali. E in quel caso il totale cumulato i 15 anni diventa di molte centinaia di migliaia anzi di qualche milione. Secondo: non ha proprio senso in termini di principio, continuare a ragionare su criteri indipendenti da età e occupabilità del superstite, si tratti di coniuge o “unito civile”, ex coniuge o ex “unito civile”.

Abbiamo alzato di brutto l’età pensionabile a milioni di italiani non a caso, a fine 2011: e in materia previdenziale o c’è coerenza tra la logica complessiva e i singoli trattamenti, oppure continuiamo a costruire un’Italia di diseguaglianze e ingiustizie. Persino quando si varano riforme che vogliono estendere i diritti, come nel caso delle unioni civili.
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