Disoccupazione, nuovo calo, i segnali della ripresa ci sono

di Marco Fortis
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- Ultimo aggiornamento: 8 Gennaio, 00:05
I dati sull’occupazione in Italia a novembre diffusi ieri dall’Istat hanno riportato fiducia sulle reali dinamiche dell’occupazione, che pareva aver perso slancio nei mesi di settembre e ottobre. La ripresa del mercato del lavoro dunque continua, non era affatto finita.

E il tasso di disoccupazione è sceso a novembre all’11,3% (il più basso livello da novembre 2012) mentre un anno fa era al 13,1%: un calo di ben 1,8 punti percentuali in soli 12 mesi.
Non ci stancheremo mai di ripetere che per capire le tendenze economiche bisogna diffidare dei dati di breve termine, specie di quelli mensili, destagionalizzati e provvisori, perché vengono frequentemente rettificati e tendono a muoversi a dente di sega, con alti e bassi continui che rischiano di ingannare gli osservatori e, purtroppo non di rado, anche i commentatori. Sicché tranquillizza apprendere che a novembre vi è stata una ripresa congiunturale di 36mila occupati rispetto alla precedente stima di ottobre e che rispetto a novembre del 2014 la crescita tendenziale è stata in un anno di 206mila unità. Ma soprattutto, ciò che più conta è il dato di fondo strutturale: ossia che, rispetto a febbraio 2014 sino a tutto il mese di novembre 2015, cioè durante il governo Renzi, gli occupati sono saliti da 22milioni e 168mila a 22 milioni e 480mila (secondo i dati destagionalizzati Istat).
 
Dunque un aumento di 311mila unità in 21 mesi che, anche al netto di eventuali rettifiche future delle stime mensili, non potrà certo cambiare nella sostanza e rappresenta ormai un importante risultato acquisito per la nostra economia.
L’altro aspetto cruciale che riguarda l’occupazione emerso ieri è che, rispetto ad un anno fa, a novembre di quest’anno gli occupati dipendenti sono cresciuti in un anno di 247mila mentre gli indipendenti sono scesi di 41mila. La novità è che tra gli occupati dipendenti quelli permanenti sono aumentati di 141mila e quelli a termine di 106mila. Dunque, con le contribuzioni e il Jobs Act gli occupati dipendenti permanenti stanno ora crescendo di più dei dipendenti a termine (mentre prima era l’inverso): il mercato del lavoro, cioè, non soltanto migliora sul piano quantitativo ma anche qualitativo, con una evidente stabilizzazione delle posizioni lavorative.

Le prospettive dell’occupazione in Italia sembrano favorevoli anche per il mese di dicembre, almeno stando alle statistiche diffuse il 4 e il 6 novembre dall’autorevole centro ricerche internazionale Markit. Questo istituto raccoglie ogni mese informazioni presso i manager delle imprese dei Paesi di tutto il mondo ed elabora il noto indice Pmi (Purchasing Manager Index). Se la maggioranza degli intervistati fornisce risposte positive, cioè di crescita, il Pmi sta sopra il valore soglia del 50%, mentre è inferiore al 50% in caso di risposte prevalentemente negative. Si tratta del famoso indice che lunedì, dopo l’ennesima stima di peggioramento del settore manifatturiero della Cina, ha concorso con altri fattori a far scattare l’ondata di vendite sulle borse del grande Paese asiatico.
I dati Markit sull’andamento della manifattura italiana nel mese di dicembre, diffusi il 4 di gennaio, hanno sorpreso tutti gli osservatori, evidenziando una ripresa molto più solida del previsto. Infatti, il Pmi manifatturiero italiano ha registrato il più alto valore dell’Eurozona (con un valore di 55,6, massimo da 57 mesi) superando Irlanda (54,2), Olanda (53,4), Germania (53,2), Spagna (53), Francia (51,4), Austria (50,6) e Grecia (quest’ultima finalmente tornata in positivo, seppur con un timido 50,2). Secondo l’economista di Markit che segue il nostro Paese, il settore manifatturiero italiano «mostra segnali di un forte vigore, con una crescita più veloce dei nuovi ordini e con l’aumento dei livelli occupazionali per far fronte alle maggiori esigenze di produzione».

In aggiunta a ciò, Markit ha anche rilasciato il 6 gennaio i dati sul settore dei servizi italiano a dicembre, che è accelerato al ritmo più rapido da cinque anni e mezzo, con l’attività totale e l’afflusso dei nuovi ordini entrambi in crescita. Inoltre, il tasso occupazionale del terziario in Italia è aumentato al valore massimo su otto mesi, supportato da un migliorato clima di fiducia per l’attività di qui ad un anno.

Su queste basi, l’indice composito di Markit (industria manifatturiera+servizi) dell’Italia è risultato il secondo più alto nell’Eurozona a dicembre (con un valore di 56, massimo da 58 mesi), appena dietro a quello dell’Irlanda. Il che ha spinto gli economisti del centro ricerche londinese a prevedere una chiusura del 2015 piuttosto positiva per il nostro Paese: «I tassi di crescita più rapidi del mese finale dell’anno sia del manifatturiero che del terziario hanno incrementato la crescita del Pil italiano, salita, nel quarto trimestre, allo 0.4%». Da ultimo, va rilevato che l’Economic Sentiment Indicator di dicembre comunicato ieri dalla Commissione europea ha confermato che la fiducia dei settori produttivi e dei consumatori italiani è quella cresciuta di più negli ultimi 12 mesi in tutta l’Eurozona.

A questo punto non ci resta che aspettare la stima preliminare dell’Istat sul Pil italiano del quarto trimestre che sarà divulgata il prossimo 12 febbraio per vedere se le aspettative positive sul nostro Paese emerse negli ultimi giorni si concretizzeranno o meno nei dati ufficiali: non tanto per capire come chiuderà definitivamente il 2015 (con ogni probabilità a +0,8%) quanto per verificare se nel finale dell’anno appena concluso anche il Pil ha ripreso vigore come l’occupazione. Sarebbe un segnale beneaugurante di continuità della ripresa economica per l’avvio del 2016.
 
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