Rischio direttorio/La Merkel torna a fare la padrona

di Alessandro Campi
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- Ultimo aggiornamento: 18 Dicembre, 00:02
Dal vertice in corso da ieri a Bruxelles tra i 28 capi di Stato e di governo dei Paesi che compongono l’Unione Europea non ci si aspetta decisioni su nessuno dei temi oggetto di discussione. Se non sulla proroga per altri sei mesi, che dovrebbe essere votata oggi, delle sanzioni economiche contro la Russia di Putin. Ma il fatto che si tratti di un confronto politico in vista del Consiglio europeo già previsto per il prossimo mese di febbraio, ha contribuito a rendere ancora più evidenti le profonde divisioni e tensioni che attraversano l’Europa. E che riguardano tutti i dossier più importanti, a partire dall’immigrazione. 
Su quest’ultimo tema, che più di altri tocca direttamente il nostro Paese, il rischio di andare incontro ad un fallimento, nonostante gli accordi e i protocolli sottoscritti nel recente passato, è particolarmente alto. Proprio l’Italia, che su questa materia aveva chiesto e sembrava aver ottenuto, insieme alla Grecia, un cambio di mentalità e un diverso approccio operativo, si trova paradossalmente sul banco degli imputati, con una procedura d’infrazione che pende sul suo capo.

La si accusa di aver praticato in modo non corretto il rilevamento delle impronte digitali [/FORZA-RIENTR]dei migranti. Secondo i tecnici di Bruxelles, ci si è limitati a censire i profughi richiedenti asilo nella Penisola, evitando di prendere le impronte digitali a tutti quelli che entrano illegalmente da un Paese terzo. Ma tanta solerzia burocratica sembra volere nascondere il vero problema emerso in questi giorni: la politica di redistribuzione e riallocazione dei rifugiati tra i diversi Stati europei, decisa nei mesi scorsi sulla base di un rigoroso sistema di quote, semplicemente non ha funzionato e tutto il peso dell’accoglienza e del mantenimento dei profughi continua ad essere sulla spalle dei Paesi di primo arrivo. 
Ciò basta a spiegare l’irritazione italiana, che ieri ha portato Matteo Renzi, durante l’incontro tra i rappresentanti della sinistra socialista europea, a sollevare il problema di un’Europa che non riesce a darsi una guida politica collegiale e sulla quale continua a pesare la volontà egemonica dei tedeschi: «L’Europa non può essere guidata da un solo Paese, la Germania, e dalle politiche imposte dal fronte dell’austerità», avrebbe detto Renzi. Il fatto che l’Italia sia stata esclusa dal minivertice Ue-Turchia promosso dalla cancelliera Merkel con la partecipazione del presidente della Commissione europea Jean-Claude Junker, del premier turco Ahmet Davutoglu e dei rappresentanti di altri dieci Stati, certo non ha aiutato a rasserenare gli animi della delegazione tricolore.

La denuncia dell’unilateralismo dei tedeschi e delle politiche di austerità da essi volute non sono per Renzi una novità, così come l’accusa alle imprese germaniche di continuare a fare affari con la Russia mentre formalmente si chiede a quelle degli altri Paesi il rispetto rigoroso delle sanzioni. Il fatto di averle dovute ripetere ieri, in modo anche un po’ irrituale, sta a dimostrare che la maggior disponibilità al confronto della Germania nei confronti degli altri partner e il conseguente ammorbidimento della Merkel, segnalati da molti osservatori nelle settimane scorse come un importante cambiamento sulla scena politica continentale, erano soltanto il frutto di una congiuntura che a quanto pare è già superata.

La cancelliera tedesca ha da poco incassato una trionfalistica vittoria al congresso del suo partito, che l’ha rafforzata politicamente all’interno della Germania e di fatto l’ha proiettata alla guida del governo per molti anni a venire. Il sistema economico tedesco, dal canto suo, sembra già aver assorbito il colpo - materiale e d’immagine - che era stato prodotto dallo scandalo della Volkswagen. Infine, sembra essere passata l’ondata emozionale legata agli arrivi di migliaia di profughi alle frontiere dell’Europa, che aveva spinto la Merkel – dopo aver fatto piangere in diretta televisiva una bambina palestinese con l’argomento che in Europa non c’è spazio per tutti quelli che arrivano a chiedere un lavoro – a farsi paladina della politica delle braccia aperte. Proprio parlando ai militanti della Csu, in particolare alla minoranza che la criticava per le sue aperture eccessive in materia di accoglienza, la cancelliera ha spiegato che in realtà il suo vero obiettivo è quello di ridurre drasticamente i flussi di profughi verso l’Europa (grazie in particolare alla collaborazione preferenziale con la Turchia).

La Germania è insomma tornata, ammesso che abbia mai realmente mollato la presa sulla politica europea. Se si aggiunge, dopo il trauma del voto amministrativo francese, che è anche l’unico grande Paese europeo che al suo interno non deve fare i conti con formazioni estremistiche e populistiche di qualche peso, con ciò che ne consegue in termini di stabilità, si comprende perché Paesi come l’Italia comincino a dare legittimi segnali di nervosismo e disappunto. 

Ci si era illusi di essere riusciti ad imporre un cambio di registro nel modo con cui a Bruxelles si discute e si decide sui temi più scottanti, nel segno di un maggior coordinamento. Si era anche pensato di essere riusciti ad imporre nuovi temi nell’agenda europea: non solo le politiche finanziarie e di bilancio, ma l’occupazione giovanile, i sostegni alla cultura, le nuove forme di assistenza sociale. E ci si accorge invece che in realtà nulla è cambiato. Anzi, se possibile il quadro è anche peggiorato. Prima almeno in Europa comandavano in due.
 
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