Sconcio antagonista/ L'oltraggio al dolore e i simboli violati

di Mario Ajello
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Lunedì 30 Novembre 2015, 00:14
È così sconcia la scena di ieri, a Parigi, che quasi non sembra essere vera. Hanno profanato il sacrario di una nazione, il luogo più solenne e dolente della memoria dei 130 ragazzi uccisi nella strage del venerdì nero, il simbolo del dolore della Francia e del cordoglio dell’intera Europa aggredita dal terrorismo islamista.
Incappucciati, black bloc, casseurs e comunque giovani indegni e criminali hanno fronteggiato la polizia - in Place de la Rèpublique dove ancora si piangono i defunti del Bataclan e dei bistrot di quel quartiere - lanciando i lumini funebri come fossero petardi. Scagliando i fiori del ricordo, insieme ai loro vasi, contro le forze dell’ordine. Tirando di tutto e anche le scarpe (comprese quelle del Papa appena portate nel sacrario da un cardinale brasiliano?), pur di sfogare la loro follia nichilista e il loro delirio contro il sacrosanto divieto di manifestare ordinato dalle autorità nelle giornate del summit mondiale sul clima.
I sassi piccoli ma sentimentalmente pesanti, su cui gli amici delle vittime hanno scritto nei giorni scorsi con il pennarello i propri singhiozzi e la voglia di non arrendersi all’orrore, sono diventati pietre normali con cui fare male al nemico. I bicchieri di vetro con dentro le foto delle vittime sono volati come fossero proiettili verso chiunque, compresi altri manifestanti no global, provasse ad arginare lo sconcio.
Come insegna Ugo Foscolo, nei “Sepolcri”, un popolo che non conserva il culto dei morti tra i suoi valori più preziosi non merita di esistere. Gli incappucciati di Place de la Rèpublique non appartengono a nessun popolo e a nessuna civiltà, se non forse a quella barbara di chi ha trucidato per la prima volta i ragazzi di Parigi idealmente ri-uccisi ieri.
E c’è un paradosso macabro, e quasi indicibile. Le vittime della strage del 13 novembre erano venti-trentenni che vivevano molto il futuro e che certamente si auguravano un futuro del pianeta più pulito. In questo dovevano essere simili a quelli in piazza ieri. Al netto, però, dell’inumana strafottenza, dell’ignobile menefreghismo, del disprezzo per il valore della vita e per quello della morte che alcuni dei manifestanti, evidentemente non del tutto arginati dagli altri, hanno esibito senza vergogna in queste ore. Nelle quali il solito rituale inutile delle proteste un tanto al chilo, contro i leader mondiali a congresso, era da evitare più che in ogni altro momento, vista la fase così delicata che sta vivendo la Francia, e invece non solo è andato in onda in mondovisione ma è riuscito a dare il peggio del peggio di sè.
E quasi non può essere vera la scena che abbiamo appena visto. È la riprova che - come canta Francesco De Gregori in “Cercando un altro Egitto”, guarda caso tradotta in francese nel 2008 - quando c’è la guerra «non è più vero niente». Sembrano non più veri i morti, non c’è più rispetto per alcunché, i lumini sono armi da battaglia e i ceri sono raffiche di odio. Parigi, e l’Europa, pensavano di avere già visto tutto. E invece l’abisso sembra non finire mai.