Gran Bretagna, viaggio nei tribunali della Sharia dove la giustizia islamica conta più di quella ufficiale

(Foto da Ansa)
di Ida Artiaco
3 Minuti di Lettura
Lunedì 14 Dicembre 2015, 16:03 - Ultimo aggiornamento: 16 Dicembre, 12:45

Li chiamano i tribunali della Sharia e amministrano la giustizia parallelamente a quella ordinaria nei Paesi non islamici. Secondo un’inchiesta condotta nel Regno Unito da una ricercatrice olandese, Machteld Zee, sul suolo inglese ce ne sarebbero ben 30, di solito collegate a moschee vicine, con il compito di aiutare i capi religiosi musulmani a risolvere le controversie finanziarie e familiari che nascono tra i membri della comunità secondo i principi della loro fede.

I giudici che presiedono questi tribunali, infatti, si rifanno alle regole che derivano direttamente dal Corano e alle sentenze degli studiosi islamici, meglio noti come fatwa. All’interno del rapporto, a cui ha avuto accesso in via esclusiva il quotidiano inglese The Indipendent e che verrà pubblicato integralmente il prossimo gennaio, sono elencati alcuni fatti a cui la studiosa ha avuto accesso nel 2013, e che mostrano una realtà, nello specifico quella del tribunale di Leyton, a est di Londra, molto diversa da quanto le massime autorità musulmane vogliano far credere.

In particolare, sottolinea la 31enne Zee, sono le donne le vittime principali delle decisioni delle corti. Secondo una buona parte dell’opinione pubblica, è proprio in questi contesti che si alimenta maggiormente l’estremismo religioso, creando una giustizia parallela in conflitto con la legge ufficiale e che mina i principali diritti umani.
In tutto, vengono raccontati circa una dozzina di casi e intervistati una serie di esperti della Sharia. In particolare, si legge nelle oltre duecento pagine dell’inchiesta, le donne sono quasi sempre ridotte alla “schiavitù coniugale” e non possono far nulla per denunciare le violenze domestiche di cui sono vittime. A una di loro, che chiedeva il divorzio religioso, è stato risposto che la separazione secolare dal coniuge non conta nulla per la legge islamica. Ad un’altra, che aveva implorato l’aiuto dei giudici contro il marito violento, è stato detto, tra i sorrisi, che la colpa fosse la sua che aveva scelto di sposarlo.

Di casi come questi ce ne sono dai 600 agli 800 all’anno, ma essendo il matrimonio sacro secondo la legge islamica, i giudici che devono farla rispettare hanno l’obbligo di agevolare la riconciliazione dei coniugi, e non di favorirne la separazione. Anche se il Consiglio della Sharia di Londra nega quanto riportato nel rapporto, si accende con maggiore vigore il dibattito sul ruolo di queste corti in Gran Bretagna, sempre più numerose.
“I giudici – si legge – non sono imparziali, anzi sono sempre a favore degli uomini. Anche in caso di affidamento dei figli, questi sono sempre stati lasciati ai padri, contrariamente alle normali sentenze di custodia. I divorzi religiosi sono il core business delle corti islamiche, ma questo non significa che siano disposti ad aiutare le donne. Sono anzi famosi per non ascoltare le loro richieste, soprattutto se il marito si dice favorevole a collaborare con loro”.
I risultati di questa ricerca passano ora nelle mani del Parlamento inglese, che all’inizio dell’anno nuovo dovrà pronunciarsi a riguardo.