Corsi e ricorsi/L’Europa e la caduta dell’Impero

di Oscar Giannino
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Sabato 28 Novembre 2015, 00:22
Poche settimane a volte accelerano nella storia processi che erano in corso da molto più tempo. Li rendono evidenti al punto tale da legittimare l’uso di espressioni fino a quel momento considerate del tutto impronunciabili. È quel che sta avvenendo in Europa. Ieri il Financial Times ne ha prodotto una prova irrefutabile.
«L’Europa rischia lo stesso fato della caduta dell’Impero Romano se non riguadagna il controllo delle sue frontiere e non arresta la massiccia ondata di affluenza di profughi dal medio oriente e Asia centrale», ha detto Mark Rutte. Che è il premier dell’Olanda, e che in quanto tale dal primo gennaio eserciterà il semestre di turno di presidenza del Consiglio europeo. «Come tutti sappiamo - ha aggiunto - gli imperi crollano quando le loro frontiere non sono più ben protette: perciò abbiamo questa sfida da affrontare come un imperativo».
Solo qualche mese fa, l’Unione Europea si cullava all’idea di aver risolto il guaio della Grecia, in realtà dimensionalmente un microguaio ma sfuggito di mano sino ad assumere proporzioni gigantesche. La ripresa era finalmente iniziata per tutti, o quasi.
Il contesto internazionale faceva sperare in meglio, dal cambio dell’euro dall’andamento del prezzo del petrolio e delle commodities. Ma una duplice esplosione ha fugato ogni ottimismo. Certo, quella del terrorismo, penserete. Ma attenti a leggere bene le parole del premier olandese: l’indice è puntato contro un fatto preciso. Non fa riferimento all’ondata terroristica islamista dell’Isis che ha colpito tragicamente Parigi. Il premier olandese indica invece il flusso di un milione di profughi verso l’Europa.

E senza farne il nome accusa una decisione in particolare, quella che, unilaterale e non concertata con nessuno, a fine estate fu assunta dalla cancelliera tedesca Merkel, aprendo indiscriminatamente a tutti i profughi. Una decisione presa e comunicata senza alcuna considerazione verso l’inadeguatezza delle misure in atto sia per il controllo dei confini esterni dell’Unione - e l’Italia lo sa bene, vista l’indifferenza europea riservata per anni ai nostri sforzi nel Mediterraneo – sia per quello dei confini tra Paese e Paese europeo.

Li avevamo aboliti con Schengen, i confini interni, ma la pressione esercitata da centinaia di migliaia di profughi in poche settimane ha rieretto obbligatoriamente i vecchi controlli pre-Schengen.

Anzi, molti Stati europei le frontiere reciproche le hanno dovute chiudere, come non accadeva dai tempi dei grandi conflitti europei del Novecento. Al tragico appuntamento con gli attacchi dell’Isis in Europa ci siamo presentati con tre modelli diversi d’integrazione dei migranti dichiaratamente in crisi. Quello olandese e quello francese da anni, e quello britannico ormai anch’esso alle corde, testimoniato dal giro di vite impresso dal premier Cameron. E il quarto modello, apparentemente più in salute, in poche settimane è entrato in crisi anch’esso, quello tedesco inadeguato a misurarsi con 800 mila nuovi arrivi in pochi mesi, e coi nuovi acuminati problemi rappresentati dalla necessità di controlli di massa.

Ogni governo centro-europeo ha dovuto improvvisamente rispondere ai propri cittadini di una sicurezza che appariva travolta dalla portata biblica del fenomeno. Incapace di misure eccezionali di sicurezza davvero comuni sui confini esterni, allo scoccare dell’offensiva terroristica la zoppìa europea è diventata una caduta vera. La Francia ha chiesto per la prima volta, dopo la strage subita, che venisse attivata la solidarietà prevista dal Trattato europeo. Ma a quella richiesta non ha risposto alcun organo dell’Unione. Ogni paese membro col suo premier ha intavolato trattative bilaterali conParigi, e ha dato una risposta diversa ad Hollande. Esattamente come se l’Unione non esistesse più o non fosse mai esistita, di fatto.

Non stiamo esagerando nel dirlo. Sono i fatti che stanno avvenendo, a chiedere parole senza precedenti per essere descritti. Il premier olandese Rutte ha deciso esplicitamente di richiamare, col tono della sua intervista, due opere che sono per molti versi l’alfa e l’omega della letteratura storica sulla crisi dell’Occidente: i sei volumi del Declino e caduta dell’Impero romano, scritti da Edward Gibbon tra il 1776 e il 1789, e Il tramonto dell’Occidente scritto da Oswald Spengler nel 1917.

Nel primo, l’autore ammoniva l’impero britannico a guardarsi dal sottovalutare l’effetto che barbari incompatibili col proprio modello culturale e di libertà potessero esercitare nel lungo periodo, come avvenne per Roma. Nell’opera dello scrittore tedesco, la crisi dei valori europei viveva già la tragedia del primo conflitto mondiale, e delle follie che portarono al secondo. Soprattutto questo secondo libro è da allora un tabù messo all’indice dai più, come l’espressione di una crisi della ragione che l’Europa pensava di aver superato per sempre.

Invece, non è così. La Russia di Putin ha un suo disegno, nazionale e neo imperiale, e lo persegue con una durezza oggettiva ma coerente, che approfitta dell’inesistenza dell’Europa e del neoisolazionismo americano. Mercoledì Juncker, il presidente della Commissione europea, è giunto a dire un’altra verità impronunciabile, intervenendo al Parlamento europeo. Non illudiamoci che l’euro possa reggere da solo, se non siamo neanche in condizioni di garantire agli europei di spostarsi liberamente nell’Unione per spenderlo, ha detto. È così.

Senza una comune politica estera e di difesa, con solo 5 paesi su 28 che sino alla settimana scorsa comunicavano regolarmente ad Europol le indagini antiterrorismo dei propri apparati nazionali di sicurezza, se ogni paese europeo continua ad avere opinioni discordanti su cosa fare e con quali mezzi contro Isis e per l’integrazione di un milione di profughi, non sono la moneta comune e la Bce a poter fare da soli ciò che la politica non ha la consapevolezza e la forza di fare. Parole e paragoni abrasivi vanno dunque usati. Proprio perché i governi vincano le ritrosie, e capiscano che a minacce estreme sono necessari rimedi adeguati e tempestivi.

Non abbiamo Odoacre a Bruxelles. Ma certo, se le cose restano come sono, il terrore che per una settimana ha regnato negli apparati di sicurezza della capitale burocratica europea non ne ha dato un’immagine troppo diversa da quella di un Romolo Augusto.