I numeri dell’esodo/Quale limite ai migranti per salvare l’identità

di Carlo Nordio
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- Ultimo aggiornamento: 8 Gennaio, 00:05
Per affrontare in termini razionali, e non emotivi, il problema dell’immigrazione massiccia e incontrollata che minaccia di dissolvere l’Unione Europea, ci affideremo ai sofisti, primi maestri di razionalismo.
Volendo educare i cervelli a ragionare, Protagora e compagni inventarono un’infinità di stratagemmi discorsivi, esercitazioni virtuose che imbarazzavano l’ascoltatore. Ad esempio si domandavano: «Quale granello forma il mucchio?» Oppure: «Quale capello che cade è la calvizie?» La risposta sembrava impossibile, benché ognuno distinguesse una testa irsuta da una pelata. In realtà è un trucco eristico, che gioca sulla nostra istintiva incapacità di distinguere due categorie logiche incompatibili: la quantità (il numero dei capelli) e la qualità (la calvizie). Socrate confutò questa scaltrezza in termini pragmatici, dopo duemila anni Hegel ne chiarì l’equivoco in termini speculativi.
Il quesito oggi si ripropone così: qual è l’immigrato (il centomillesimo, il milionesimo?) che compromette l’equilibrio e forse l’esistenza di una Nazione? Istintivamente si risponde: la domanda è impropria, oltre che razzista e cattiva. Ma in realtà il problema esiste, perché un’Italia con cinquanta milioni di afroasiatici di usi e costumi diversi non sarebbe più l’Italia che conosciamo. Eppure non possiamo dire quale sarà il punto di non ritorno, come non sappiamo dire quale sia il capello che, cadendo, ci rende calvi.
 
Andiamo avanti. La chiusura delle frontiere di paesi tradizionalmente tolleranti e “civili”, come Danimarca e Svezia non è altro che il frutto dell’inavvedutezza critica dei governi, e della stessa Unione, nel riflettere analiticamente sul sofisma di Protagora, adattato ai giorni nostri. Se infatti il governo svedese dice di non aver più posto per gli immigrati, perché non può più assicurare loro un ambiente riscaldato nel rigido inverno polare, ciò dipende dal fatto che, al momento di discutere sull’accoglienza e la cosiddetta distribuzione delle quote, nessuno si domandò: «Che facciamo se oltre agli immigrati che abbiamo ne arrivano dieci o cento volte tanti?» Mistero.

Perché questa è la situazione. Dall’Africa e dall’Asia premono decine - forse centinaia - di milioni di individui che intendono arrivare in Europa. È ozioso domandarsi se scappino dalle guerre o cerchino solo una vita migliore, perché, per il paese ospitante, è indifferente la ragione dell’esodo, quando la misura è colma. Come ha detto il governo svedese, e con lui tutti i paesi ex comunisti, nonché buona parte dei cristianosociali bavaresi.
Che fare allora? Credo si debba riflettere sulla provocazione dei sofisti del capello e della calvizie, distinguendo la categoria quantitativa (il numero degli immigrati) da quella qualitativa (l’identità nazionale). E quindi domandarsi in tutta sincerità: c’è il rischio di diventare calvi? Ovverossia: c’è il rischio che l’Europa diventi diversa da quella che è? Possiamo benissimo rispondere di no, sostenendo che l’Italia con cinquanta milioni di immigrati sarebbe la stessa di adesso. È un’opinione come un’altra, e in effetti già oggi qualcuno la sostiene in nome dell’accoglienza solidale.

Però andrebbe sottoposta al vaglio della volontà popolare, spiegando bene ai cittadini gli effetti culturali, economici, religiosi ecc. di una simile trasformazione. E se i cittadini rispondessero che no, non sono disposti a diventare un’appendice afroasiatica, l’antilogia di Protagora si riproporrebbe: perché il governo dovrebbe indicare il limite quantitativo oltre il quale l’identità nazionale sarebbe snaturata. In altre parole: quanti ne possiamo prendere? Centomila, un milione? O di più? Questa è la domanda drammatica alla quale, prima o poi, si dovrà rispondere. Ma per ora non ci si pensa, con il rischio, un giorno, di scoprirci calvi. Se poi la calvizie sia più o meno attraente, ognuno giudicherà da sé.
 
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