Trump insiste: «Non mi pento sui musulmani». Il monito di Obama

Donald Trump
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Mercoledì 9 Dicembre 2015, 16:52 - Ultimo aggiornamento: 10 Dicembre, 09:58

Donald Trump non si pente sui musulmani. Anche se qualcuno, come il Washington Post, lo paragona a un moderno Benito Mussolini. La sua proposta di bloccare l'ingresso dei musulmani in America lo ha improvvisamente catapultato sul palcoscenico internazionale, attirandosi in particolare le ire di Londra e di Parigi che temono un 'effetto Le Pen' oltreoceano. Al Parlamento britannico è persino arrivata una petizione firmata da 200 mila persone per chiedere che all'imprenditore newyorchese sia vietato l'ingresso nel Regno Unito. Anche se per ora Theresa May, il ministro dell'interno di David Camerton, tace.

Ma Trump non si pente di quanto detto. Anzi, continua a volare nei sondaggi ed è fortemente tentato dal correre da solo. Lasciando i repubblicani al loro destino. «Ho grande rispetto e amore per i musulmani. Ma dobbiamo fare la cosa giusta», insiste in un'intervista il magnate, che di fronte alla minaccia del terrorismo vorrebbe sigillare le frontiere respingendo chiunque professi la fede dell'Islam. Una proposta che incassa non solo l'appoggio di un altro miliardario, il guru dei media Rupert Murdoch, ma anche quello dei quasi due terzi dell'elettorato repubblicano (il 65%), secondo un sondaggio Bloomberg. Ha un bel dire, dunque, la Casa Bianca che Trump non è qualificato per fare il presidente.

Ad attaccarlo nelle ultime ore Barack Obama in persona, per la prima volta dalle affermazioni shock sui musulmani. «Ricordiamoci che la nostra libertà è legata alla libertà degli altri - tuona il presidente americano - indipendentemente dalla loro razza, dal loro nome e dalla fede che praticano». Per lanciare il suo monito Obama sceglie l'intervento in Congresso per celebrare i 150 anni dalla fine della schiavitù in America. Ricordando come il rispetto della dignità di ogni persona sia alla base dei valori di un Paese multiculturale e multietnico come gli Stati Uniti. Anche Benyamin Netanyahu bacchetta l'imprenditore-candidato newyorchese: «Israele rispetta tutte le religioni», afferma il premier israeliano, che dovrebbe incontrare Trump il 28 dicembre. Ma tra i candidati della destra per le presidenziali del 2016 l'eccentrico miliardario in questo momento non sembra avere rivali, mostrando di essere più forte delle critiche, pur feroci, che gli vengono mosse. Gli ultimi sondaggi lo danno al 35%: altro che Jeb Bush (sparito dalle classifiche) o Marco Rubio. I vertici del partito repubblicano - spiegano molti autorevoli commentatori - sembrano ormai passati dall'incubo a una fase di vero e proprio panico: il ciclone Trump sembra davvero inarrestabile e all'orizzonte non c'à nessuno in grado di raccogliere la leadership.

La paura è che con le sue posizioni estreme Trump allontani gran parte dell'elettorato tradizionale repubblicano, col risultato di perdere nel 2016 non solo la corsa per la Casa Bianca, ma anche il controllo del Congresso, conquistato dalla destra dopo anni di battaglie politiche e milioni di dollari spesi nelle varie competizioni elettorali. Intanto, nonostante abbia a suo tempo firmato un impegno a restare fedele al Grand Old Party, per Trump la tentazione di correre da indipendente torna a farsi sentire prepotentemente. Del resto un altro sondaggio mostra come a volerlo è il 68% dei suoi sostenitori. Chissà se cederà alle sirene, sbarazzandosi di quell'establishment repubblicano con cui oramai la star di questa campagna elettorale - nel bene e nel male - è ai ferri corti.

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