La coalizione/Non c’è lotta al Califfato senza truppe di terra

di Alessandro Orsini
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Sabato 21 Novembre 2015, 14:38 - Ultimo aggiornamento: 19 Novembre, 00:18
La Francia ha intensificato i bombardamenti aerei contro l’Isis, ma la sua offensiva, anziché proteggere le nostre città, le renderà ancora più vulnerabili, esponendole a nuovi attentati terroristici.

I numeri parlano chiaro. Tra il settembre 2014 e il settembre 2015 la coalizione americana ha condotto 7.200 raid aerei contro postazioni Isis e, dal 30 settembre, è entrata in azione anche l’aviazione russa.



Con quali risultati? La reazione della Francia è puramente emotiva e priva di contenuti strategici, come dimostrano le scritte sulle bombe: «Dalla Francia con amore», apparse in rete per farsi gioco dell’Isis. Accadde anche alla Giordania, il 3 gennaio 2015, quando vide bruciare il suo pilota rinchiuso in una gabbia. La rabbia di re Abdullah II si trasformò in alcuni giorni di bombardamenti intensi che produssero un nulla di fatto per la semplice ragione che le bombe dal cielo non risolvono il problema. Non essendo precise come le pallottole dei fucili, colpiscono le postazioni, ma non gli uomini.

Esiste soltanto un modo per sconfiggere l’Isis ed è quello di inviare truppe di terra per ingaggiare il corpo a corpo con i suoi miliziani, ma, per una serie di incredibili circostanze internazionali, coloro che dovrebbero combattere contro gli jihadisti si sono paralizzati a vicenda.



Ecco perché ho definito l’Isis l’organizzazione terroristica più fortunata del mondo. Chiariamolo: la lotta contro l’Isis, quella vera, non è mai iniziata. La Russia e l’Iran non vogliono inviare i propri soldati a morire per dare l’assalto a Raqqa e a Mosul perché temono che, mentre loro combattono, i ribelli appoggiati dagli Stati Uniti rovescino Bassar al Assad, alleato prediletto. Seguendo la stessa logica “paralizzante”, gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita, il Qatar e la Francia non vogliono inviare truppe di terra perché non vogliono liberare un Paese che poi rimarrebbe sotto il governo di Bassar al Assad ovvero sotto l’influenza dell’Iran e della Russia. Gli americani dicono: «Se la Siria resta ai russi, la liberino loro dall’Isis». I russi rispondono: «Se la Siria rischia di cadere nelle mani degli americani, concentriamo le nostre forze contro i ribelli filo-americani e poi ci preoccuperemo dell’Isis».



Ecco perché gli aerei russi, anziché bombardare le postazioni dei terroristi, hanno bombardato soprattutto i ribelli filo-americani. Ed ecco perché, sotto i bombardamenti russi, l’Isis, anziché arretrare, conosceva l’avanzata più importante degli ultimi mesi, conquistando alcuni villaggi vicino Aleppo e uccidendo, come se tutto questo non bastasse, il più importante generale iraniano di quell’area, Hossein Hamadani, sopravvissuto alla sanguinosissima guerra tra l’Iraq e l’Iran del 1980-1988. Un eroe di guerra in Iran, cancellato da al Baghdadi il 7 ottobre 2015.



Sono sempre i dati che dovrebbero guidarci ed è utile mostrarli. Nei primi tre giorni di raid aerei, i russi erano riusciti a uccidere soltanto due militanti di al Nusra Front e 12 dell’Isis, il cui esercito, secondo ciò che aveva dichiarato il più alto generale di Putin, Valery Gerasimov, vanterebbe 70 mila soldati.

Con uno spreco di risorse pari a zero, il primo novembre 2015, l’Isis abbatteva un aereo russo sulla penisola del Sinai, uccidendo 224 civili che, sommati ai 43 morti dell’attentato terroristico di Beirut del 12 novembre, e ai 119 morti di Parigi, arriva a 386 morti in tredici giorni, a cui bisogna aggiungere 592 feriti. I risultati dei bombardamenti aerei nella lotta contro l’Isis sono dunque in questi numeri.



D’altronde, la lotta congiunta contro l’Isis, per essere il più efficace possibile, avrebbe bisogno di un comando unificato. I russi accetterebbero mai di essere coordinati da un generale americano? E i sauditi si farebbero dare ordini da un generale iraniano?

Nel frattempo, Netanyahu si è recato alla Casa Bianca per dire a Obama che si opporrà a qualunque accordo per combattere contro l’Isis che consenta all’Iran di acquisire posizioni in Siria. La fortuna è cieca, si dice. Ma le grandi potenze hanno la vista acuta.