Sequestri di pc e telefoni: nuova stretta sulla giustizia. Il pm dovrà indicare le ragioni dell’atto

La proposta di legge di Bongiorno (Lega) e Zanettin (FI): più garanzie per gli indagati

Sequestri di pc e telefoni: nuova stretta sulla giustizia. Il pm dovrà indicare le ragioni dell’atto
di Federico Sorrentino
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Domenica 23 Luglio 2023, 00:29

Stretta sul sequestro di telefonini e computer in occasione delle inchieste giudiziarie. È quanto prevede un disegno di legge presentato in Senato nei giorni scorsi, il 19 luglio, da Giulia Bongiorno (Lega) e Pierantonio Zanettin (Forza Italia). Il testo vuole disciplinare i sequestri operati dalle Procure su sistemi e memorie digitali, come appunto cellulari e pc, introducendo un articolo ad hoc, il 254 ter del Codice di procedura penale.
La proposta di legge, che deve ancora essere discussa, segue un po’ il giro di vite garantista sulle intercettazioni voluto dal ministro della Giustizia Carlo Nordio. Nella riforma il Guardasigilli amplia infatti il divieto di pubblicare il contenuto delle intercettazioni, per alcune fattispecie specifiche. E secondo i firmatari del ddl, sequestrare PC e telefoni cellulari è un atto comparabile ad una intercettazione telefonica. Quindi l’azione «dovrebbe essere circondata da garanzie al pari delle intercettazioni», così come la selezione dei loro contenuti «dovrebbe essere assistita da un contraddittorio tra le parti per decidere cosa sia rilevante a fini processuali, anche in relazione alla conservazione dei dati nell’archivio digitale delle intercettazioni».

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LA CASSAZIONE

Bongiorno, che è anche presidente della Commissione Giustizia in Senato, e Zanettin citano la Cassazione, che con la sentenza 17604 del 2023 ha stabilito riguardo al sequestro a fini probatori di tali dispositivi la loro illegittimità a causa «della violazione del principio di proporzionalità, adeguatezza e gradualità», laddove non siano chiare «le specifiche ragioni a un’indiscriminata apprensione di tutte le informazioni ivi contenute».

Con la nuova legge, quindi, il pm dovrebbe indicare «le ragioni che rendono necessario il sequestro, in relazione al nesso di pertinenza fra il bene appreso e l’oggetto delle indagini» e specificare «le operazioni tecniche da svolgere sullo smartphone e i criteri che verranno utilizzati per selezionare, nel rispetto del principio di proporzione, i soli dati effettivamente necessari per il prosieguo delle indagini». 

Se poi ci fosse «il sospetto che il contenuto dei dispositivi possa essere cancellato, alterato o modificato», il disegno di legge prevede che l’autorità giudiziaria debba «impartire le prescrizioni necessarie ad assicurarne la conservazione e ad impedirne a chiunque l’analisi e l’esame sino all’espletamento». 
E procedere quindi alla duplicazione integrale dei dispositivi su supporti informatici, assicurando la conformità della copia all’originale e la sua immodificabilità. 

Entro cinque giorni dal sequestro, inoltre, il pm dovrà avvisare «la persona sottoposta alle indagini, la persona alla quale la cosa è stata sequestrata, la persona alla quale la cosa dovrebbe essere restituita e la persona offesa dal reato e i relativi difensori» del giorno, dell’ora e del luogo fissato per l’affidamento dell’incarico e della facoltà di nominare consulenti tecnici. 

LA TEMPISTICA

Altra tempistica prevista dalla proposta di legge è quella sul rispetto dei principi di necessità e proporzione nella selezione dei dati: il pm «decide entro 48 ore con decreto motivato». 
Nelle successive 48 ore, il gip convalida tutto o in parte, con decreto motivato, il provvedimento del pm, «limitandone eventualmente gli effetti solo ad alcuni dei dati selezionati».

Sull’argomento le forze di maggioranza sono compatte. Quello del sequestro di cellulari e pc in occasione di inchieste giudiziarie, ricordano Bongiorno e Zanettin, «rappresenta una lacuna normativa evidenziata in tutte le audizioni» che la Commissione Giustizia ha avviato da gennaio sul tema delle intercettazioni.
Il tema è divisivo e scivoloso, ma anche molto recente come terreno di scontro (e d’attutalità, come si è visto nel caso dell’inchiesta che riguarda La Russa junior). Basti pensare che fino al 2008 non esisteva nel nostro ordinamento una base giuridica per eseguire il sequestro di dati informatici conservati su archivi virtuali appartenenti a soggetti diversi dall’indagato. Ancora una volta la palla passa al parlamento.

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