Regionali, Salvini: «Io rifarei tutto». E punta sul Campidoglio

Regionali, Salvini: «Io rifarei tutto». E punta sul Campidoglio
di Mario Ajello
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Martedì 28 Gennaio 2020, 00:37 - Ultimo aggiornamento: 07:35

BOLOGNA Ha fatto paura ai moderati. Ha rianimato i “comunisti”. E non lo dà a vedere ma è un leone ferito Matteo Salvini nel day after. Non evoca più la spallata al governo - «Lasciamo Conte chiuso nel suo Palazzo, rinserrato nella sua rabbia e nel suo rancore e vive male e ce l’ha con me, gli consiglio la camomilla» - per decidere invece di buttarsi anima e cuore in quella che ora vede come la nuova madre di tutte le battaglie. La decisione è presa e dopo la ferita emiliana la zampata va data su Roma (e su Milano). Prima ancora che nella Toscana, dove l’effetto Emilia-Romagna potrebbe rivelarsi negativissimo: una sconfitta qui, una sconfitta lì, nelle regioni ex rosse che si sono rivelate più difficili da maneggiare di quanto il capo leghista pensasse. Oltretutto, la lezione di ieri rende più complicato per lui proporre per maggio in Toscana una candidatura ultra-identitaria del Carroccio, sullo stampo di quella della Borgonzoni, e se davvero aveva pensato alla sua fedelissima Susanna Ceccardi dovrà ripensarci, anche perché gli alleati - sull’onda del tonfo emiliano - sono decisi a farsi sentire.

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IL RISCATTO
Insomma, Salvini vuole riscattarsi subito con Roma. «Il prossimo obiettivo importante è la Capitale, ma anche Milano. Si vota tra un anno e mezzo, ma ci stiamo preparando bene. Già chiediamo idee e lavoriamo al programma e alla squadra. Presto definiremo tutto». L’ansia da rivincita deve approdare al boccone più prelibato, quello della Capitale, anche se prima ci saranno diverse tornate elettorali importanti. Ma con chi e come conquistare il Campidoglio? È un po’ che Salvini ci pensa e ci ripensa, ma ancora il progetto non c’è neppure colui e colei che lo dovranno interpretare. Lui sfoglia gli albi professionali di Roma, si cerca in condivisione con la Meloni ma separatamente una figura capace di allargare il campo e senza targa di partito e la ricerca, dopo l’Emilia, si farà più serrata. E c’è chi, nella Lega, pensa che un nome spendibile e gradito anche a Fratelli d’Italia potrebbe essere l’ex senatore Andrea Augello, solide origini di destra ma apprezzato anche extra moenia e conosciuto Roma. Si può fare? Quanto a Milano - dice pubblicamente il leader leghista in conferenza stampa post voto nell’albergone bolognese dove si doveva festeggiare e invece no - a febbraio faremo una grande giornata d’ascolto invitando imprese, categorie professionali e tanti pezzi di società che non ne possono più di uno Stato di tasse e manette».

Comunque, ora non può dire più «citofono a Palazzo Chigi» per mandarli via. Può soltanto sperare, e ha detto ai suoi in Senato di lavorarci sodo, che i 5 stelle rimasti senza partito, azzerato nel voto sia a Nord sia a Sud, vadano verso la Lega nella speranza di essere ricandidati e intanto facciano cadere il governo. «Matteo ne abbiamo attenzionati una ventina», gli dicono i suoi. Chissà se è vero. Ma la via principale, per il capo del Carroccio, non è più quella della spallata elettorale ma nella trama parlamentare. Anche perché, per fare due esempi, se in primavera si vince in Puglia con Raffaele Fitto, il timbro sarà più quello della Meloni che suo. Idem in Campania, dove Stefano Caldoro può farcela ma l’insegna e quella di Forza Italia e non della Lega. Problemi. Il tracollo degli azzurri in Emilia, agli occhi di Salvini, è stato insieme ai voti grillini tornati a sinistra, una delle cause della sconfitta. «Mi aspetto una Forza Italia più tonica», osserva Matteo.
Ma gli altri, nei partiti alleati, si aspettano da lui «maggiore condivisione» in tutte le scelte. E perfino dentro la Lega, stando ben attenti a non farsi sentire, mentre in FI e in FdI non hanno di questi problemi, dietro le spalle del capo supremo è tutto un bisbigliare: «Ha sbagliato a puntare sulla Borgonzoni. Decide sempre tutto da solo».

L’AMMISSIONE
Di sicuro ha sbagliato Salvini nello show del Pilastro e in quello di Bibbiano. Ma lui non è di questo avviso. «Rifarei tutto: il citofono, il radiotelefono, il grammofono». Non è tipo da autocritica Matteo. Ma una cosa la ammette: «Da solo non si va da nessuna parte». Si dice pronto a discutere con Meloni e Berlusconi di candidatura anche nella Toscana e nelle Marche, dove gli aspiranti dovevano essere suoi. E se in primavera vince in gran parte delle regioni - sul Veneto e sulla Liguria si dice quasi sicuro, e bisogna vedere in Toscana, Puglia, Campania eccetera - allora tornerà a chiedere sfratto di Conte e elezioni.
Il rischio logoramento della propria figura di leader, per effetto della mancata spallata emiliano-romagnola e della fine o della pausa del suo magic touch, non può non vederlo Salvini. Che un po’ si sente vittima delle Sardine - «Sono anti-democratiche, in certi posti mi hanno impedito di parlare» - e un po’ si è già rimesso in pista. Un festa nel modenese per salutare gli elettori emiliani venerdì, un salto in Calabria e poi su e giù per l’Italia. Il solito spartito.

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