Ci sono le parole reali (vaccino) e le parole surreali (rimpasto). Le espressioni significanti (come nonno: questo Natale non lo potrò vedere causa Covid, ma il prossimo ci riuscirò?) e le espressioni insignificanti o addirittura insultanti rispetto al senso comune, alle priorità degli italiani in questa fase, alle loro paure e ai loro bisogni. E insomma: governo ponte, verso le elezioni che non ci saranno, o punto di caduta (per intendere l'arrivo a un accordicchio di Palazzo) o altre astruserie da politichese vengono dette e ripetute nella bolla della comunicazione per iniziati e per addetti ai lavori (e ai livori) con il rischio di oscurare le questioni sostanziali. Come questa: riaprirà davvero la scuola il 7 gennaio? E il sistema dei trasporti è pronto per il D-Day? Temi di assoluto interesse popolare. Come quello della ricostruzione o rinascita o rilancio o ripartenza dell'economia e del lavoro.
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La convivenza
Ecco allora che le parole forti sono costrette a convivere a sorpresa - il politichese che in tempi di pandemia pareva non dover esistere più, svanendo per pudore - con l'insostenibile leggerezza dell'essere dei paletti.
Il divario
Se si parlano due lingue è grave. Perché significa che tra il Paese e il Palazzo si sta ampliando quella incomunicabilità che indebolisce una nazione e invece bisogna capirsi bene per procedere insieme fuori dal tunnel della pandemia. Ci si era illusi di non sentire, in tempi ardui come questi, la litania delle elezioni anticipate. E invece, questo ritornello risuona più di Jingle Bells. Per non dire del tormentone sul chiarimento o di quello sul caminetto, tra capigruppo o tra capidelegazione, senza considerare che per tutti il caminetto è solo quel luogo dove brucia il fuoco e serve a riscaldare gli ambienti soprattutto a Natale.
Da una parte, iper-maggioritaria, si parla dello spostamento tra comune e comune o se funziona meglio la mascherina chirurgica o la FFP2. Da un'altra parte, minuscola ma rumorosa, ci si alambicca sul governissimo. Senza calcolare che c'è bisogno di fatti e non di superlativi.