Il “politichese” così distante dal Paese reale

Il “politichese” così distante dal Paese reale
di Mario Ajello
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Lunedì 14 Dicembre 2020, 07:09 - Ultimo aggiornamento: 07:25

Ci sono le parole reali (vaccino) e le parole surreali (rimpasto). Le espressioni significanti (come nonno: questo Natale non lo potrò vedere causa Covid, ma il prossimo ci riuscirò?) e le espressioni insignificanti o addirittura insultanti rispetto al senso comune, alle priorità degli italiani in questa fase, alle loro paure e ai loro bisogni. E insomma: governo ponte, verso le elezioni che non ci saranno, o punto di caduta (per intendere l'arrivo a un accordicchio di Palazzo) o altre astruserie da politichese vengono dette e ripetute nella bolla della comunicazione per iniziati e per addetti ai lavori (e ai livori) con il rischio di oscurare le questioni sostanziali. Come questa: riaprirà davvero la scuola il 7 gennaio? E il sistema dei trasporti è pronto per il D-Day? Temi di assoluto interesse popolare. Come quello della ricostruzione o rinascita o rilancio o ripartenza dell'economia e del lavoro.

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La convivenza

Ecco allora che le parole forti sono costrette a convivere a sorpresa - il politichese che in tempi di pandemia pareva non dover esistere più, svanendo per pudore - con l'insostenibile leggerezza dell'essere dei paletti.

Alla Camera non si parla d'altro: il paletto che mette Renzi, il paletto che vorrebbe Zingaretti, il paletto che dà fastidio a Conte... L'autoreferenzialità del cambio di passo (lo chiedono tutti al governo, e siamo in pieno vintage) spicca nel vocabolario partitico di queste settimane, mentre i cittadini parlano d'altro. Usano la parola normalità, chiedendosi quando si torna alla normalità e quale sarà la nuova normalità e si concentrano sui ristori (io li ha avuti e tu?) senza farsi distrarre dal numero dei vicepremier che forse ci saranno e forse no ma in fondo chissene. La parola viaggio (torneremo a viaggiare come prima?) deve vedersela con la parola verifica: che già era vecchia al tempo della Prima Repubblica e oggi la vera verifica (negativa o positiva) è il tampone. Sotto l'albero di Natale, non esisterà la diatriba sul Conte Ter che sta riempendo invece la bolla mediatica insieme alla crisi pilotata o alla crisi al buio e alla cabina di regia più stretta o più larga.

Il divario

 

Se si parlano due lingue è grave. Perché significa che tra il Paese e il Palazzo si sta ampliando quella incomunicabilità che indebolisce una nazione e invece bisogna capirsi bene per procedere insieme fuori dal tunnel della pandemia. Ci si era illusi di non sentire, in tempi ardui come questi, la litania delle elezioni anticipate. E invece, questo ritornello risuona più di Jingle Bells. Per non dire del tormentone sul chiarimento o di quello sul caminetto, tra capigruppo o tra capidelegazione, senza considerare che per tutti il caminetto è solo quel luogo dove brucia il fuoco e serve a riscaldare gli ambienti soprattutto a Natale.
Da una parte, iper-maggioritaria, si parla dello spostamento tra comune e comune o se funziona meglio la mascherina chirurgica o la FFP2. Da un'altra parte, minuscola ma rumorosa, ci si alambicca sul governissimo. Senza calcolare che c'è bisogno di fatti e non di superlativi.
 

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