C'è una cosa che hanno detto queste elezioni regionali. Anzi, per la verità, ce ne sono almeno cinque. Su astesnionismo, sul voto disgiunto (refugium peccatorum più invocato che realizzato), sulla Meloni e i rapporti di forza nel centrodestra, sul centrosibistra con il Pd "defibrillato" dal fallimento dell'Opa ostile di M5S e Terzo polo. Voto locale fin che si vuole, per carità. Ma anche dannatamente politico. L'ultima appendice, per certi versi, delle elezioni di settembre più che l'inizio di un nuovo. Ora, per tutti, al netto di qualche voto (questo sì, davvero) locale (vedi il Friuli e il Molise in primavera), la traversata nel deserto fino alle Europee del 2024. Tempo per costruire, ricostruire, cesellare, puntellare, ricominciare. Per la serie: fate il vostro gioco.
L'astensionismo: il voto solo territoriale non tira
Si è detto.
La chimera del voto disgiunto
Lo si dice a tutte le elezioni (laddove è possibile farlo), lo invocano spesso i candidati che vogliono puntare sul fattore personale: "Esiste il voto disgiunto". Cioè, nei tecnicismi della politica: votare un partito, ma il candidato presidente (o sindaco) di un altro partito. In queste ultime regionali ci si sono appellati sia Alessio D'Amato, nel Lazio, sia Letizia Moratti, in Lombardia. Morale della favola, da sempre (e da tenere a mente per le prossime volte): il voto disgiunto non esiste o esiste in minima parte. Uno per cento, due per cento. Anche perché già è difficile portare un elettore al voto (vedi sopra), ancora più difficile fargli capire i bizantinismi elettorali. Si va (chi ci va), si sbarra un partito, una coalizione e via. Rapido e indolore.
I cento (e passa) giorni di luna di miele della Meloni
Dicevamo: queste elezioni sono state più la fine di quelle di settembre che l'inizio di altro. Ma la vittoria schiacciante di Rocca e Fontana dimostra che la luna di miele di Meloni e del suo governo non è ancora finita, anzi. Il centrodestra ha ottenuto il risultato quasi perfetto. Vittoria netta, FdI in crescita, ma alleati (Lega e Fi) non umiliati. La Lega tiene al Nord, la Forza Italia più centrista e più "azzurra" resiste bene nel Lazio. Uno strapotere di FdI, invece, sarebbe stato un problema in più, anche per il premier. Il centrodestra, dati alla mano, avrebbe vinto anche contro il "campo larghissimo" (Pd, M5S, Terzo polo) unito. E non è poco
Il Pd rianimato da un quasi-segretario
Nell'altra metà dell'emiciclo, al Pd è bastato avere un quasi segretario (quasi chiusa la votazione nei circoli, si va a primarie Bonaccini-Schlein, esito scontato) per rianimarsi almeno in parte. I dem sono sopra al 20% in Lombardia e nel Lazio, Majorino a Milano avrebbe vinto, idem D'Amato nei Municipi centrali di Roma. Non è molto, ma è qualcosa, per un partito che - rimasto di fatto senza guida e travolto dagli errori di strategia che hanno portato alla debacle di settembre - sembrava in caduta libera. E invece, da qui si riparte: dai territori e, anche per loro, dall'anno di tempo prima della prossima scadenza elettorale importante.
Il fallimento di M5S e Terzo Polo
Pd "defibrillato" anche dal flop di M5S e Terzo Polo. La loro Opa ostile non ha funzionato, nè in Lombardia né nel Lazio dove i rispettivi candidati (Moratti e Bianchi) non hanno neppure contribuito a far perdere il centrosinistra (che, come detto, avrebbe perso comunque) e hanno raggiunto risultati deludenti, da una parte e dall'altra. Il progetto Azione-Iv segna una battuta d'arresto rispetto alle politiche, e forse andrebbe ripensato da capo. Il sorpasso Cinquestelle non c'è stato. In generale, l'occasione di dare il colpo di grazia ai dem è fallito. E lasciare in vita un avversario, in certi casi, diventa molto pericoloso.