Gioachino Belli e Roma in ginocchio per il colore che uccise anche sua moglie

Gioachino Belli e Roma in ginocchio per il colore che uccise anche sua moglie
di Mario Ajello
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Sabato 21 Marzo 2020, 14:44
C’è stato qualcosa di peggio del coronavirus, a Roma, tantissimo tempo fa. E in una serie di sonetti Giuseppe Gioachino Belli raccontó quella tragedia che decimò i romani e la racconto in una serie di sonettò su Er collera mòribus. E specificò in una nota ai suoi scritti: “Mòribus significa se more”.

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La paura di Belli per le malattie è proverbiale e non va dimenticato che la moglie Mariuccia era morta per il colera proprio durante l' estate del 1837. Di questa terribile epidemia, diffusasi a Roma dal 1836 e proveniente dal Regno di Napoli (dove aveva ucciso anche Giacomo Leopardi), resta il ricordo dell'impressionante numeri di morti, che vengono indicati in una "Statistica Ufficiale" a metà del 1838: 2551 uomini e 2868 donne per un totale di 5419 morti. Il censimento del 1837 duceva che la cittadinanza era di 156.552 abitanti. E 5419 morti dunque furono una enormità. Stupendo il racconto di Belli del «sentito dire» sui rimedi che funzionano contro il colera.



“Sapete er fijo de Monzù Boietto» - che sarebbe il farmacista di Nîmes, Monsieur Boyer - «Ha scoperto che un po’ de corallina/ È la vera e fficaccia medicina/ Pe guarì sto fraggello benedetto». E poi in un altro sonetto: “Già è scartato er rimedio der Bojetto/ Adesso tutto era gran preservativo/ Conziste in un tamtin d’argento-vivo/ Drent’una penna che sse porta in petto». E ancora: “È una scena! Qua ognuno ha er zu’ segreto/ Chi vò er cannello, chi vò la patacca/ Chi era làvudon, chi er thè; chi una casacca/ De fanella, chi era vischio de l’abbetto». Non si trattò del Coronavirus ma anche allora il terrore fu tanto e Belli era preoccupato quanto o addirittura più di noi.
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