Autonomia, i paletti di Confindustria: «Allo Stato le competenze strategiche»

Il vicepresidente Vito Grassi in Senato: «No a fughe in avanti, occorre stimare i costi»

Autonomia, i paletti di Confindustria: «Allo Stato le competenze strategiche»
di Andrea Bassi
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Mercoledì 31 Maggio 2023, 00:02 - Ultimo aggiornamento: 12:29

Confindustria affonda il coltello nella carne molle delle contraddizioni del progetto autonomista portato avanti dal disegno di legge Calderoli e fortemente voluto da Veneto e Lombardia. I toni sono felpati e istituzionali, ma i concetti espressi da Vito Grassi, vice presidente degli industriali con delega alle Rappresentanze regionali, trasudano preoccupazione. A partire dalla richiesta di lasciare allo Stato la gestione di alcune «competenze strategiche», come le infrastrutture energetiche e di trasporto e il commercio con l’estero. Ma anche evitare un’eccessiva frammentazione normativa in settori come quello dell’ambiente. Per gli industriali dover far fronte a 20 sistemi di autorizzazioni diversi è una sorta di incubo a occhi aperti. E anche per questo Grassi ha chiesto «un approccio graduale nella selezione delle materie da trasferire». Una sorta di autonomia differenziata «sperimentale», anche per testare la capacità amministrativa delle Regioni a gestire le nuove competenze che chiedono. Non è sicuro, anzi non è affatto detto, che gli enti territoriali abbiano personale in quantità e di qualità per gestire funzioni che oggi appartengono allo Stato centrale. Meglio sarebbe anzi, rivedere l’intero titolo V della Costituzione nell’ambito delle riforme istituzionali. Per Grassi, insomma, non ci devono essere «fughe in avanti».


I DUBBI
Per il resto i dubbi espressi ieri in audizione in Senato dal rappresentante degli industriali, sono quelli già emersi con forza da più parti durante le audizioni parlamentari.

Il primo, più importante, riguarda i soldi. Come si fa a garantire servizi uguali in tutto il territorio nazionale senza stanziare risorse aggiuntive? E come si fa, senza fondi, a ridurre i divari tra i territori? «È importante», spiega Grassi, «la determinazione dei Lep (i livelli essenziali delle prestazioni, ndr) e l’individuazione delle risorse necessarie a farvi fronte, ma anche la concretizzazione del principio di perequazione al fine di compensare gli squilibri sofferti dai territori con minore capacità fiscale».

Il concetto è abbastanza semplice. Chi ha di meno va aiutato. Ma per farlo servono soldi e all’orizzonte non se ne vedono. L’autonomia differenziata chiesta da Veneto e Lombardia, spiega Grassi, deve affrontare «un tema di sostenibilità finanziaria». È l’elefante nella stanza. Per adesso il governo ha affidato ad una cabina di regia la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni. «Una scelta corretta», dice Grassi. Ma, aggiunge, «al contempo, condividiamo i timori di chi ritiene che il raggiungimento di questi obiettivi, in assenza di uno stanziamento aggiuntivo di risorse, possa non risultare scontato». Il disegno di legge Calderoli dice che i divari territoriali e i Lep, vanno garantiti a parità di soldi. Un ossimoro. Una contraddizione. Ma c’è di più. Confindustria pone un’altra questione che può sembrare tecnica, ma che è di grande sostanza. Il progetto del governo prevede che i livelli essenziali delle prestazioni siano definiti soltanto su alcune materie: istruzione, sanità, trasporti. Grassi chiede che i livelli essenziali delle prestazioni siano stabiliti e calcolati su tutte le 23 materie che le ricche Regioni del Nord chiedono di poter gestire, compresi porti, aeroporti e grandi reti infrastrutturali. «Riteniamo opportuna», ha detto Grassi, «una definizione dei Lep non circoscritta alle materie concretamente “trasferite”, bensì riferibile all’intero perimetro delle materie “trasferibili” alle Regioni (insieme alle risorse necessarie a finanziarli); infatti», ha spiegato, «la prima ipotesi determinerebbe un rischio per gli obiettivi di perequazione, poiché è necessario disporre di quante più informazioni possibili circa l’impatto finanziario sul bilancio dello Stato». 


I RISCHI
Quali sono i rischi? Che le «Regioni si trovino a dover assicurare prestazioni essenziali con risorse insufficienti», ha spiegato Grassi. Ed anche che venga pregiudicata «la possibilità di attribuire alle altre Regioni le risorse necessarie a garantire i Lep di loro competenza». Tradotto: che i divari nel Paese si allarghino. Ma non ci sono solo le imprese a frenare sull’autonomia differenziata. Un allarme, ieri, è arrivato anche dall’Abi, l’associazione delle banche che ha chiesto al governo di «intervenire per correggere l’eventuale attuazione della autonomia differenziata a livello regionale in materia bancaria», che sarebbe «un vulnus alle prerogative e alle competenze dello Stato nella disciplina dell’attività creditizia». Nella materia bancaria - si sostiene nel documento dell’associazione - la regolamentazione è ormai di diretta derivazione comunitaria: competenze regionali in detta materia si porrebbero in profonda distonia con l’istituzione del Meccanismo di vigilanza unico della Bce.
 

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