Una sanità ancora più diseguale e inefficiente di quella già sperimentata dai cittadini di molte Regioni italiane. Rischia di essere questo l'esito di ciò che a prima vista potrebbe sembrare solo uno stratagemma formale, inserito nel Rapporto del Comitato Lep presieduto da Sabino Cassese. Il tema generale, naturalmente, è l'autonomia differenziata: il disegno di legge presentato dal ministro Calderoli e attualmente all'esame del Senato prevede che le materie per le quali sono necessari livelli essenziali di prestazione (Lep) non possano essere oggetto di trattative tra Stato e Regioni (in vista del loro trasferimento sul territorio) prima che appunto siano definiti i Lep in questione.
PARACADUTE MANCATO
Sulla carta, questa sarebbe una forma di garanzia, per impedire che il passaggio di competenze alle Regioni più ricche penalizzi quelle economicamente più deboli, i cui cittadini riceverebbero servizi di qualità non sufficiente. I Lep servirebbero proprio a definire le prestazioni minime da garantire su tutto il territorio nazionale. Ebbene, cosa è successo sulla sanità? Lo specifico sottogruppo del Comitato ha stabilito che su questo capitolo non c'è da fare nulla, visto che già da tempo esistono i Lea (livelli essenziali di assistenza) che svolgono nel campo specifico la funzione dei Lep, da istituire invece (e finanziare) in diversi altri settori. Dunque, tutto a posto. Se non fosse che i Lea la funzione di paracadute non la hanno svolta in questi anni. E dunque cedere ai governi territoriali ulteriori competenze in materia sanitaria, mantenendo in funzione uno schema di garanzia che si è rivelato insufficiente, vorrebbe dire semplicemente ampliare le diseguaglianze che già esistono. Ne è convinto Nino Cartabellotta, medico e presidente della Fondazione Gimbe, che da anni analizza le criticità del nostro sistema sanitario e recentemente ha avuto modo di esprimere anche in Parlamento le sue pesanti perplessità sul progetto dell'autonomia differenziata.
Il problema è appunto che i Lea non hanno funzionato: «Sono solo delle macrocategorie che andrebbero definite analiticamente». E che comunque «non permettono certo di ricomporre la frattura tra Nord e Sud». Anzi, si andrebbe in direzione opposta. Cartabellotta sceglie una metafora automobilistica: «Se si decide di mettere ulteriore benzina nelle macchine delle Regioni più potenti, le altre non potranno che restare indietro». Per il servizio sanitario nazionale, già in prospettiva penalizzato da un livello di finanziamento tornato a scendere vistosamente in rapporto al Pil dopo la parentesi pandemica, si tratterebbe del «colpo di grazia».
Non bisogna dimenticare quello che è successo negli ultimi venti anni. I governi che si sono succeduti più o meno a partire dall'inizio del secolo si sono trovati di fronte al problema dei disavanzi sanitari in alcune Regioni (del Sud ma non solo, basta pensare al caso del Lazio); disavanzi che spesso corrispondevano anche a livelli di prestazioni insufficienti per i cittadini.