Michela Giraud: «Per Flaminia mi sono ispirata a mia sorella e al suo autismo. La stand up? non la lascerò mai»

L'attrice con "Flaminia" fa il suo esordio come regista con un film dedicato ad Andrea Purgatori

Michela Giraud: «Per Flaminia mi sono ispirata a mia sorella e al suo autismo. La stend up? non la lascerò mai»
di Ilaria Ravarino
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Venerdì 5 Aprile 2024, 06:22 - Ultimo aggiornamento: 11:00

Cene di beneficenza nei circoli dove si entra solo "in lista", sessioni di palestra per lui e di shopping per lei, tacchi alti e testa bassa con i potenti (e i figli dei potenti). E ancora chirurghi plastici che aspirano a sistemare le figlie, rampolli di famiglie "bene" col vizio della cocaina, domestici in livrea trattati con disprezzo, come fossero servi. È il "Vietnam di Roma Nord", quel quadrilatero di soldi, conformismo, razzismo e ipocrisia che, dopo aver fatto da sfondo alla satira dei film di Pietro Castellitto (il paragone bellico è suo), diventa il terreno per la farsa di Michela Giraud, 36 anni, che qui ambienta il suo Flaminia, in sala dall'11 aprile. Una commedia ispirata a una storia vera il rapporto dell'attrice e stand up comedian con la sorella Cristina, nello spettro dell'autismo ed esordio alla regia di Giraud, sul set con Edoardo Purgatori (il film è dedicato a suo padre Andrea), Lucrezia Lante Della Rovere e Antonello Fassari.

Quanto c'è di vero in questa storia?

«Diciamo che non è una storia vera, ma autentica. È una favola portata agli estremi, in cui vorrei che ogni spettatore trovasse qualcosa di se stesso.

Chiaramente c'è tanta Roma nel film, ma la città resta sullo sfondo: in primo piano c'è l'ipocrisia di una società borghese che ti vorrebbe imporre un certo modo di essere. Che non ti appartiene».

Ma che un po' le piace: lo dice anche la protagonista nel film.

«All'inizio, sì. Flaminia desidera essere come tutti gli altri, come le sue amiche stronze. A un certo punto, però, si accorge che desiderare qualcosa, e volerlo per davvero, sono due cose diverse. In questo scarto prende coscienza della sua libertà».

Autismo, sorellanza, un matrimonio: lo spettro del buonismo la preoccupava?

«No, anzi. Nel film ho voluto inserire battute molto dure sulla disabilità. Avevo bisogno di tirarle fuori. Da sempre faccio più fatica a scrivere e dire battute tenere e amorevoli: quelle taglienti e spietate mi vengono così».

Farà arrabbiare qualcuno?

«Faccio incazzare la gente da quando ho iniziato a lavorare. Lo spero, almeno se ne parlerà. Se non fai arrabbiare nessuno, a che serve il nostro lavoro?».

Si è mai censurata nella stesura del copione?

«No. Non ho filtri, dico in modo scorretto ciò che per me è corretto. L'ho imparato facendo stand up: posso trattare ogni tema senza problemi né timori, restando nell'ambito dell'ironia. Per questo nel film ho voluto anche Saverio Raimondo, il mio mentore, Stefano Rapone e Daniele Tinti, che fanno il miglior podcast italiano (Tintoria, ndr), e Fabrizio Colica».

L'ispirazione per il film arriva da sua sorella?

«Sì. All'inizio, quando ha visto Flaminia, non le è piaciuto. Non è facile rivedersi, può sembrare caricaturale. Rita (Abela, l'attrice che interpreta la sorella, ndr) e Cristina si sono incontrate una sola volta: non volevo che Rita venisse inghiottita dalla complessità di Cristina, talmente profonda che per raccontarla ci vorrebbe un documentario. E non è escluso che prima o poi io lo faccia».

È stato difficile gestire il rapporto con sua sorella, in famiglia?

«Difficile? Siamo noi, quelli difficili. A volte sono più difficile io di lei. Per una famiglia è complicato gestire una persona con delle diversità, è vero, ma la cosa è reciproca. In realtà basterebbe ascoltarle, quelle persone: oggi grazie ai social possono esprimersi di più, vivono la diversità con meno imbarazzo, soprattutto i più giovani. I nuovi media permettono di abbattere tante barriere, tanti pregiudizi su cui ci arrocchiamo. E parlo anche per me».

Perché le donne nel suo film sono tutte cattive?

«Perché io ammiro la cattiveria nelle persone. Nella stand up mi sono costruita un personaggio che vorrei essere, ma che non sono mai stata per davvero. Mi piacciono le donne cattive e subisco il fascino degli uomini perfidi: per essere buoni ci vuole coraggio, ma ce ne vuole pure per essere cattivi. La spietatezza di non fregartene degli altri: chi ce l'ha? Non io».

Perché la regia? Non le bastava scrivere e recitare?

«Mi hanno convinta i produttori. Mi hanno detto: "è la storia tua, tu sai come vuoi i tuoi personaggi: perderesti più tempo a litigare con un regista che a farlo direttamente da sola". Mi hanno messo accanto una squadra di professionisti, che si sono fidati di me. La regia è stata una scoperta: lo rifarei, ma la prossima volta senza recitare. Mi ritaglierei un ruolo piccolo, un cameo, alla Tarantino».

Regista, attrice, comica: farà ancora stand up?

«Non voglio svelare le mie carte per il futuro, ma ho sempre fatto quello che mi piace e vorrei continuare così. La stand up non la mollo, è la mia vita: da maggio partirò con il tour europeo e in Italia arriverò in autunno».

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