Luciano Spalletti: «Mio fratello è stato tutto per me, quando se ne è andato ho sofferto molto. A Napoli ho toccato con mano la felicità»

Dalla nuova avventura con la Nazionale al cambiamento dei calciatori, il racconto del commissario tecnico dell'Italia

Luciano Spalletti: «Mio fratello è stato tutto per me, quando se ne è andato ho sofferto molto. A Napoli ho toccato con mano la felicità»
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Martedì 5 Dicembre 2023, 11:05 - Ultimo aggiornamento: 11:25

Dalla famiglia al rapporto con il Napoli, passando per gli Europei e i cambiamenti del mondo del calcio, Luciano Spalletti si è raccontato in una lunga intervista, parlando di se stesso e dei progetti futuri. 

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L'infanzia e la famiglia

Ha iniziato parlando della sua famiglia, Luciano Spalletti. Intervistato da Walter Weltroni sul «Corriere della Sera», il ct della nazionale italiana di calcio ha ripercorso le tappe fondamentali della sua vita, dall'infanzia sui campetti da calcio all'importanza della famiglia: «Mio padre era magazziniere, mia madre lavorava in una confezione.

Nella nostra stanza c’erano due lettini, per me e mio fratello, e dei quadretti di calciatori, sul tavolo gli album delle figurine Panini. Li ho tutti». Proprio sul fratello Marcello si è soffermato poi Luciano Spalletti: «È stato tutto. E di più. Lui giocava al calcio, aveva visto che ero bravino ed era orgoglioso di me. Mi proteggeva e, insieme, mi spingeva sempre a migliorare. Se ne è andato anni fa, per un tumore. Ho sofferto molto». Spazio poi al racconto dei suoi inizi, dalle giovanili dell'Avane a quelle della Fiorentina: «Io cominciai con le giovanili dell’Avane dove si perdeva sempre, poi proseguii con quelle della Fiorentina, dove si vinceva sempre. E, sinceramente, penso di avere imparato più dalla prima esperienza che dalla seconda. Essere sconfitti è importante, educa, insegna a migliorarsi, educa a vincere. Quella casacca giallonera mi è rimasta nel cuore».

Il rapporto con Napoli

Quello tra Luciano Spalletti e la città di Napoli è un rapporto che va oltre l'affetto. Come raccontato da lui stesso, «A Napoli ho lasciato il cuore. Non è immaginabile l’affetto, anzi l’amore che mi sono scambiato con quella città. Mi ha regalato, per la prima volta nella mia storia di allenatore, l’emozione unica di sentirmi parte di una comunità. A Napoli sono stato felice perché ho toccato con mano la felicità dei napoletani e dei miei calciatori. Ho ricevuto sensazioni indescrivibili. Una delle cose più belle che potessero capitarmi nella vita. È stata la mia università di vita, penso sia difficile avere più di quello che ho avuto io e nessuna impresa può meritare quello che i napoletani hanno dato a me. Sono orgoglioso, fiero, di diventare giovedì un loro cittadino onorario. Erano più di trent’anni che il Napoli ed io pensavamo di andare nello stesso luogo, di fare lo stesso viaggio. Incontrarci, esiste un’arte dell’incontro, ci ha fatto arrivare, ambedue, il più lontano possibile. Noi veniamo al mondo con una sola ala, non possiamo volare in alto se non cerchiamo chi ci completa. Napoli è stata la mia seconda ala. Per questo la ringrazierò sempre».

La nazionale

Luciano Spalletti ha poi parlato della sua nuova avventura con la nazionale, che vorrebbe che tornasse la nazionale di tutti, amata da ogni italiano. Una maglia importante per lui, considerata la cosa più alta che ci possa essere nello sport. Per questo motivo la proposta di Gravina lo ha reso felice e orgoglioso, ma gli ha fatto sentire anche il peso della responsabilità. Parlando del suo percorso con la nazionale, il commissario tecnico ha poi spiegato la linea che ha deciso di seguire: «Le mie scelte saranno tecniche e anche morali. Vorrò intorno a me ragazzi che ci credono, che vivano con me il morso della responsabilità, ragazzi che conoscano a memoria la storia di questa nazionale dimostrandomi di voler entrare in quella storia, di volerci provare fino in fondo. Sarò sempre assillato dal bene della nostra Nazionale e, chi vorrà dimostrarmi di voler mettere il proprio talento al servizio della Nazionale, saprà che io sarò ai suoi piedi. Noi dobbiamo restituire all’Italia il bene che ci vuole. Far gioire un paese intero, che si unisce e dimentica le appartenenze che separano. La maglia azzurra va desiderata prima e onorata poi come un oggetto sacro». 

I cambiamenti del calcio

Con gli anni, Luciano Spalletti ha visto cambiare i calciatori e il calcio stesso. Ma non solo: «C’è da dire che sono cambiati anche gli allenatori, i dirigenti, i presidenti e le tipologie di proprietà. Purtroppo quello che non sta cambiando in Italia è la mentalità, specialmente per quel che riguarda la cultura della sconfitta. Continuiamo a ragionare e far polemiche come se tutti possano/debbano sempre vincere. Quella del massacro a chi perde è una usanza che si è addirittura allargata ai campionati giovanili andando ad incidere negativamente sul percorso di molti talenti». Tornando ai calciatori, il ct ha sottolineato come sia diminuta la loro fame. Il motivo? «La loro formazione avviene su campi perfetti, con l’erba sintetica e le docce calde. I panni, dopo l’allenamento, vanno lavati, devono essere ben sporchi. I ragazzi oggi mettono il loro musino in ogni banalità. Si aspettano che tutto sia dovuto, sembrano avere poca voglia di sacrifici. Non ho timore a dire che in ogni campo e in ogni momento della formazione — un genitore, un insegnante, un allenatore — c’è bisogno di qualcuno che li aiuti a distinguere tra mondo reale e mondo virtuale, che gli faccia respirare la carnalità, la corporeità delle paure, degli incontri, delle possibilità».

L'addio di Totti

Infine, il commento sui fischi il giorno dell'addio al calcio di Francesco Totti, quando lui era sulla panchina della Roma: «Quei fischi mi dispiacquero molto. Io sempre cercato di fare il bene della Roma, con la quale abbiamo fatto un bel gioco e ottenuto bei risultati. E ho cercato anche di fare il bene di Totti, che è stato uno dei più grandi giocatori del nostro calcio. Per me, riabbracciarlo è stato come una liberazione».

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