Fiorenza Rancilio, una famiglia maledetta: il fratello fu rapito e ucciso dall'Anonima sequestri

La verità sul blitz dopo la collaborazione con la magistratura del boss calabrese Saverio Morabito

Fiorenza Rancilio, una famiglia maledetta: il fratello fu rapito e ucciso dall'Anonima sequestri
di Claudia Guasco
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Mercoledì 13 Dicembre 2023, 22:28 - Ultimo aggiornamento: 14 Dicembre, 00:36

Il padre di Fiorenza Rancilio, Gervaso, è partito da zero girando la malta nei cantieri da ragazzino e ha costruito un impero immobiliare. Ha fatto fortuna in Francia e ha replicato in Italia, negli anni Cinquanta e durante il boom economico ha costruito migliaia di appartamenti a Milano, Sesto San Giovanni e Cesano Boscone. Poi sono arrivati i guai giudiziari, gli anni Settanta e la sua ruvidità che oggi appare sconcertante va collocata proprio in quel periodo. La mattina del 2 ottobre del 1978, davanti a un cantiere a Cesano Boscone, ad aspettare lui e il figlio, architetto ventiseienne, c’è un commando di ‘ndrangheta: vengono circondati da otto persone, Augusto è caricato di peso su un furgone e di lui non si saprà più nulla fino a quando il boss Saverio Morabito racconta che è stato ucciso perché ha cercato di ribellarsi ai suoi carceri.

 

NO AL RISCATTO

Gervaso Rancilio se la cava con una ferita accanto all’occhio sinistro e un graffio sul labbro superiore rimediati nella colluttazione. Qualche ora dopo, nella sua lingua che è un misto di italiano, milanese e francese, dichiara che non verserà alcun riscatto perché non ha i soldi per pagare e che sarebbe tornato il giorno stesso in cantiere per saldare i debiti che aveva con le banche. «Con Augusto, così come con Cesare, di 33 anni, ingegnere, e Fiorenza, di 27, laureata in Legge — ha spiegato — abbiamo prospettato l’ipotesi di un sequestro e, nel caso, concordato questo comportamento.

Mio figlio è al corrente di come stanno le cose. A sbagliarsi sono stati quei giovanotti».

Che erano armati, ma non hanno sparato: «Poteva andare molto peggio. Questi sono fatti di vita, succedono tutti i giorni, specialmente nel nostro Paese». L’auto con a bordo Augusto è sfrecciata verso l’autostrada, un testimone che l’ha vista riferisce che «il sequestrato aveva i piedi fuori dal finestrino». Per anni, il destino del giovane è rimasto avvolto nel silenzio, poi, agli inizi degli anni ’90, la svolta arriva dalla collaborazione con la magistratura del boss calabrese Saverio Morabito. Durante il processo Nord-Sud, ha rivelato i contorni del rapimento, organizzato da un gruppo di calabresi di Buccinasco, e ha riferito che Augusto Rancilio fu prima portato in un box a Buccinasco e poi trasferito in una cascina tra Nerviano e San Giorgio sul Legnano. Lì è rimasto in ostaggio alcuni giorni fino al suo trasferimento in Calabria. I resti di Augusto non sono stati mai ritrovati, secondo quanto è emerso l’architetto è stato ucciso dai suoi carcerieri in un tentativo di fuga.

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