Diodato: «Mi adeguo ai posti in cui mi esibisco e suono con loro. Si punta troppo al mercato»

Parla il cantautore, che stasera è sul palco della Cavea al Parco della Musica

Diodato: «Mi adeguo ai posti in cui mi esibisco e suono con loro. Si punta troppo al mercato»
di Mattia Marzi
4 Minuti di Lettura
Giovedì 27 Luglio 2023, 00:08 - Ultimo aggiornamento: 00:09

«Un sole bianco si è preso il cielo sopra Roma / e le terrazze di Trastevere sono uccelli pronti ad emigrare / un campanile suona un tempo fermo da settimane / ed io che sbatto dentro questa casa e non so più che fare»: i versi immaginifici di Vieni a ridere di me, l’emozionante ballata che chiude il suo ultimo album Così speciale, raccontano «di un momento di solitudine» vissuto nella casa trasteverina in cui ha preso forma parte del disco. Stasera Diodato tornerà a cantarli nella città che li ha ispirati, la stessa in cui il 41enne cantautore di origini pugliesi si è formato artisticamente negli Anni Duemila e dove ha vissuto, prima di trasferirsi nel 2017 a Milano. Stavolta, però, Antonio Diodato non sarà solo: a stringersi intorno a lui ci penseranno gli spettatori del concerto che segna il suo ritorno in città, seduti intorno al palco della Cavea dell’Auditorium Parco della Musica, dove fa tappa il “Così speciale Summer Tour” che fino a fine agosto terrà impegnato il cantautore. 

Sinead O'Connor, la depressione e il figlio morto un anno fa. L'ultimo post: «Era l'unico ad amarmi»

Che estate sta vivendo, Diodato? 
«Entusiasmante.

Sono sempre in giro a suonare, a incontrare gente. Sto facendo quello che amo fare di più. Cos’altro posso chiedere?». 

In un’estate segnata dalla corsa ai sold out e dalla tendenza al gigantismo, in che direzione si muove?
«Faccio la mia parte. Sto facendo tantissime date in luoghi suggestivi, speciali, affascinanti. Ho avuto la fortuna di potermi esibire in location come l’Isola Maggiore, le vallate marchigiane immerse nel verde. E ora l’Auditorium. Un posto magico, che conosco bene: dal palco della Cavea le tre casse armoniche delle sale interne sembrano navicelle spaziali. Sento che la mia musica viene rappresentata dai luoghi in cui vado a suonare. E cerco di suonare con essi». 

Che vuol dire?
«Provo ad adeguarmi ai posti in cui fa tappa la tournée e a riprodurre le vibrazioni che sento. Se fai un concerto all’ora del tramonto, non puoi pensare di portare in scena lo stesso concerto che faresti in un club al chiuso. Vorrei che la mia musica accompagnasse momenti speciali e li suggellasse. Ho voluto con me per questo tour musicisti dotati di una sensibilità simile alla mia, per ottenere questo effetto». 

In quanti siete sul palco? 
«Nove in tutto. Gabriele Lazzarotti (basso), Alessandro Comisso (batteria), Rodrigo D’Erasmo (violino, percussioni, chitarra elettrica, cori), Simona Norato (tastiere, percussioni, chitarra elettrica, cori), Lorenzo Di Blasi (piano e cori), Andrea Bianchi di Castelbianco (chitarre elettriche e acustiche e cori), Beppe Scardino (sax baritono e flauto) e Stefano Piri Colosimo (tromba e flicorno). È un concerto organico, senza sequenze: tutto suonato in carne ed ossa». 

L’album “Così speciale” lo scorso marzo ha interrotto un silenzio che durava da tre anni, tanti quanti ne erano trascorsi dall’uscita del precedente “Che vita meravigliosa”. Lo scenario discografico attuale non la scoraggia?
«Più che scoraggiarmi, mi spaventa. Non so dove ci porterà questa tendenza a seguire solamente i numeri. Sono consapevole che le cifre hanno un peso. Ma trovo allarmante il fatto che si stia tutto appiattendo su quella cosa. Sarà che sono cresciuto in un periodo in cui c’era più curiosità, dietro l’ascolto della musica. A suggerirti quale disco ascoltare era il commesso del negozio di musica, un amico, una rivista, non l’algoritmo».

Come si reagisce? 
«Io gioco in un campionato a parte, rispetto allo streaming e ai successi radiofonici». 

Quale? 
«Quello degli artigiani. E mi circondo di miei simili. Nel nuovo disco ho sperimentato parecchio. In Che casino gioco con l’elettropop. 
In Lasciati andare, invece, in fase di missaggio ho voluto tenere la voce più bassa rispetto agli altri strumenti: sono cresciuto con il brit pop, con il rock d’oltremanica, Radiohead e dintorni. I primi produttori con cui ho lavorato avevano un approccio più italiano: tiravano fuori la voce. Io quasi mi vergognavo (ride)». 

Parco della Musica, via Pietro de Coubertin 30. Stasera, ore 21. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA