Si sente sotto assedio il partito meloniano. E ha i suoi motivi. Assedio non solo politico ma anche «familiare». E quando la Meloni premier lamenta il «fango sul nostro partito, su di me e sui miei parenti», sta parlando soprattutto dell’altra metà della diarchia che regna, al femminile, in Fratelli d’Italia. Di Arianna, ecco. La quale arriva e se ne va in motorino, dopo aver imboccando una porticina laterale, la stessa anche di Giorgia e di Lollobrigida cognato e marito, che dà su Piazza di Spagna, sul lato in cui spiccano le autoblù posteggiate del partitone di sistema, anzi sono per lo più grigie non smaltate, elegantemente opache, e questo dev’essere un segno cromatico distintivo del nuovo potere.
Indossa un casco tricolore Arianna la simpatica diarca (sorride, dice «ciao» a tutti, non se la tira affatto ed evviva) e sembra un casco molto vissuto, quasi un reperto degli anni ‘70 e invece no: si tratta di vintage. La scena di lei che viene e che va sulle due ruote fa una buona impressione a chi riesce a vederla. «Io sono rimasta la stessa, sono la militante che sono sempre stata e che da quando è ragazzina dà l’anima per il partito», così confida l’altra Meloni agli amici.
E comunque dice dal palco la Meloni premier (e junior): «Si è parlato di Arianna Meloni, militante da quando aveva 17 anni, sempre penalizzata dal fatto di essere mia sorella. Hanno volutamente e strumentalmente confuso un ruolo organizzativo come quello di segreteria politica con quello di segretario di Fratelli d’Italia. Solo che da noi il segretario è una figura che non esiste...».
E comunque la rete di protezione ha funzionato, alla fine Arianna si dice «soddisfatta» della prima giornata da star (non ha comunque preso la parola dal palco, com’era prevedibile) e anche nel pranzo a Palazzo Chigi tra Giorgia e il presidente La Russa la soddisfazione andava giù liscia come l’acqua minerale: «Tutto bene, no? Ma certo. Arianna che brava, che grande contegno». Altro che «nepotismo» è del resto la convinzione di Ignazio che conosce l’altra Meloni da sempre: «Qui si tratta di un caso di meritocrazia».
L’ETERNO BATTISTI
Ed è questo il refrain che tutti (il sottosegretario Gemmato: «Arianna è entrata nel nostro movimento giovanile prima di Giorgia») ormai catechizzati dal verbo di Giorgia - in un partito democristianissimo per il peso che ha ma assolutamente privo di correnti e unanimemente votato all’adorazione del capo - ripetono intorno al fortino dell’assemblea nazionale. Dove s’è avuta la riprova che la vita interna al partito è una passeggiata di piacere (anche Rampelli è in linea, e su Arianna: «È stata 10 anni a capo della mia segreteria, è bravissima»), mentre le insidie esterne sono il vero spauracchio, che un po’ Giorgia agita strumentalmente (per compattare i suoi in una fase difficilissima tra economia che non marcia e il Paese che non scoppia di salute) e un po’ ha le sue ragioni per sventolare rispetto all’atteggiamento dell’Europa: dove i tedeschi, come lei ben sa, stanno cercando di far precipitare l’Italia nella fascia C, cioè quella delle nazioni più scassate e inadempienti ai parametri finanziari ed economici richiesti.
E dunque, il mood del partitone delle Due Sorelle e di tutti gli altri è una miscela di soddisfazione, di ansia (i ministri che vanno via in anticipo dicono: «Dobbiamo correre ad occuparci dell’Italia») e di grandi speranze. Quelle che Giorgia fa cantare, nel finale del suo discorso, a Lucio Battisti: «Non sarà/ un’avventura/ non è un fuoco che col vento può morire/ ma vivrà quanto il mondo/ fino a quando gli occhi miei/ avran luce per guardare gli occhi tuoi». E a brillare sono gli occhi di tanti. Quelli di Arianna, dentro il casco tricolore, sono parte di questa vicenda che non vuole essere un’avventura.