Andrea Purgatori, i resti di un Mig-23 libico sui Monti della Sila e quel giorno in cui si finse avvocato ad Atene

Il ricordo di due episodi, due giornate formidabili, di quelle che appartengono a una storia del giornalismo d’annata che forse non esiste più

Andrea Purgatori, i resti di un Mig-23 libico sui Monti della Sila e quel giorno in cui si finse avvocato ad Atene
di Marco Ventura
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Mercoledì 19 Luglio 2023, 13:47 - Ultimo aggiornamento: 20 Luglio, 09:42

Andrea Purgatori è legato per me al ricordo di due giornate formidabili, di quelle che appartengono a una storia del giornalismo d’annata che forse non esiste più. La prima rimanda all’interminabile e sterminata inchiesta sulla tragedia del Dc-9 di Ustica, di cui Andrea era esperto, sul quale si fece le ossa come giornalista d’inchiesta, e per il quale appassionò anche noi che avevamo qualche anno di meno e vedevamo in lui una guida tra le pieghe (e i faldoni) di un mistero irrisolto. In realtà, il ricordo è quello di un episodio collaterale, ma che più di qualsiasi altro testimonia gli aspetti surreali di quella vicenda: il ritrovamento dei resti di un Mig-23 libico sui Monti della Sila, il 18 luglio 1980, che da molti fu collegato, negli anni, alla caduta del Dc-9 Itavia, e fece supporre che il giorno effettivo in cui il Mig precipitò fosse in realtà il 27 giugno, la sera di Ustica. Ai primi di novembre del 1990, il giudice Rosario Priore decise di andare di persona a verificare se qualche rottame del Mig fosse rimasto nel vallone di “Timpa della Magara”, a dispetto di quanti avevano detto che tutto ciò che restava era stato impacchettato e riconsegnato a Gheddafi.

Purgatori e i resti del Mig

Purgatori era a capo del drappello di sei giornalisti (ricordo, oltre a noi, Luciano Galassi, Francesco Grignetti e Maurizio Martinelli).

Così ci ritrovammo, insieme a tre guardie forestali, a risalire una pietraia fino al punto d’impatto, dove luccicavano ancora al sole i resti del Mig. Perché non tutto era stato riconsegnato, anzi. C’erano una bombola d’ossigeno, una forcella del cupolino, un cartonato di pannello dei comandi, le fibbie del seggiolino, pezzi metallici deformati e materiale elettrico… Fu un momento incredibile. Rimanemmo a bocca aperta. Toccavamo i “fatti” di dieci anni prima, che nessuno aveva ritenuto di indagare. Ognuno di noi si caricò di qualche pezzo di Mig e fu così che riuscimmo a portare tutto (o quasi) giù a valle.

L'inchiesta

Quel giorno fu anche un successo per Andrea. Praticamente ogni passo in avanti dell’inchiesta nasceva da domande che lui per primo aveva posto, alle quali non si era data risposta, e che in molti casi nessuno aveva avuto il coraggio neppure di porsi. E lui era lì, col suo taccuino e la sua penna, e quella espressione riflessiva e curiosa, seria, che non lo ha mai lasciato ed è, per me, la sua nota distintiva. E lo sguardo penetrante, che diceva come il suo cervello stesse rimuginando ipotesi e collegamenti senza sosta.

 

Atene

L’altra giornata formidabile non la ricorda nessuno, tranne noi… Tranne me, caro Andrea. Fu il giorno che il suo giornale, il “Corriere della Sera”, e il mio, “Il Giornale” di Montanelli, ci mandarono di corsa ad Atene per seguire la storia del comandante italiano di una nave che si era scontrata, se ben ricordo, con un traghetto. Andrea e io ci ritrovammo sull’aereo, e appena atterrati andammo dritti al carcere dov’era imprigionato il capitano. Riuscimmo a intervistarlo il giorno stesso. Ci presentammo in giacca e cravatta, con le borse, e ci venne naturale dire alle guardie che eravamo gli avvocati del comandante. Pensavamo di essere respinti con perdite. Invece ci aprirono tutte le porte, una dopo l’altra, compresa quella della cella. È così che all’epoca nascevano gli scoop. Andrea, in fatto di scoop, è sempre stato un maestro.

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