Fai buon viaggio Tarcisio. Saranno in tanti a ricordarti in questa nostra fragile dimensione e io sono tra questi.
Le prime partite che ho visto da bambino insieme a mio padre, parlavano di te. Eri la Roccia. Mi piaceva quel nomignolo. Sapeva di forza e corrispondeva al tuo volto. Oddio, corrispondeva anche alla prestanza e alla determinazione difensiva che impiegavi in campo. La luce degli occhi, invece, smussava la ruvidezza e l'impenetrabilità della pietra.
Curiosa la tua carriera incentrata all'impedire il gol degli avversari, ma celebrata e ricordata dai più per l'unico da te realizzato. Ricordi? Era quella parità poi celebrata come la partita del secolo, contro la Germania, il 4 a 3. Dai, adesso puoi dirlo: eri lì nell'area tedesca per caso. Vabbè, ma intanto è 2-2, per il momento come sappiamo.
Poi, dopo tante coppe e scudetti da calciatore hai anche fatto esordire da tecnico, a Bologna, un giovanotto minorenne che oggi è il ct della nostra Nazionale, Mancini, che si va a giocare un Europeo. In quel 1968 per la finale Italia-Jugoslavia, per l'unico successo azzurro in Europa tu eri in campo e io sugli spalti.
Hai capito il grande Tarcisio! Ecco perché forse sei nei versi di una delle più belle poesie che lo sport abbiamo mai scritto.
Fai una cortesia, Tarcisio, quando arrivi lassù cerca mio papà, che quello è distratto, e digli che abbiamo vinto ancora. Per la diciannovesima volta. Sì, ti abbiamo aspettato prima che partissi: vai sereno, perché ogni stella che si spegne sulla terra è una in più che si accende nel cielo... E quelle per quanto ne so non si spengono mai.