Mixology, il cocktail torna un affare da gourmet

Mixology, il cocktail torna un affare da gourmet
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Martedì 14 Ottobre 2014, 06:01
LA NOVITÀ
Una volta i cocktail – quelli tanto amati da James Bond – erano sinonimo di una sofisticata eleganza in grado di svelare uno status sociale. Poi si sono involgariti, diventando delle bevande più che altro finalizzate a indurre (possibilmente in tempi rapidi) la classica euforia alcolica. Negli ultimi anni, invece, diverse città anglosassoni (Londra su tutte) hanno ridefinito il concetto di cocktail, trasformandolo in un affare da gourmet che comporta delle materie prime selezionate e dei procedimenti niente affatto semplici. Non a caso la disciplina atta a produrli si chiama ora Mixology: oltre a richiedere dei liquori di altissima qualità, e frutta e verdura della miglior specie, s'impone l'utilizzo dei giusti bicchieri da degustazione, insieme a un ghiaccio fatto con l'acqua più consona al tipo di cocktail. Si parla poi di Molecolar mixology se ci si mettono di mezzo i chimici e i fisici con polveri, spezie e addirittura azoto liquido. Sferificando, cuocendo, affumicando.
SLOW FOOD
Che i cocktail siano diventati una cosa seria è provato dal fatto di essere stati sdoganati da Slow food, che per la prima volta ha inserito dei Laboratori “mixology” al prossimo Salone del Gusto, che si inaugurerà a Torino il 23 ottobre. Si terranno tutti con dei celebri “headmixologyst” italiani fra cui spicca il nome di Tommaso Cecca del Caffè Trussardi di Milano: «Nel mio Dieci anni di fashion cocktail riproporrò il Beer Americano, un cocktail accattivante dal punto di vista estetico, ma allo stesso tempo semplice e gustoso, che ha una base di Campari vermouth e crema di birra». Ci sarà poi Michele Di Carlo, presidente del Classic Cocktail Club, che nel suo Storie di gin svelerà diversi trucchi del classico Gyn&Tonic, mentre Dom Costa, bartender di fama mondiale, proporrà La storia del cocktail: «Partirò dalla metà dell'800 parlando delle tendenze statunitensi che hanno animato il proibizionismo e il post-proibizionismo, per poi analizzare gli anni '40 e '50: giungerò infine agli anni '90, periodo in cui Londra, priva com'era di una tradizione del bere miscelato, ha saputo aprirsi a dei nuovi orizzonti senza preconcetti. Sperimentando. Innovando».
MUSICA
Si chiama Multi-sensory Mixology, e non poteva nascere se non a Londra questa ultima frontiera dei cocktail, a metà strada fra la biologia e le mode. A crearla è un duo denominato “Bompass & Parr” che abbina a ogni tipo drink una canzone specifica. Fin qui niente di nuovo, se non fosse che le onde sonore del brano fanno muovere a tempo di musica il vostro cocktail, come se ci ballaste insieme. “La musica è ben più di una semplice esperienza sensoriale”, hanno dichiarato, “è invece una bolla invisibile che dialoga con noi in maniera totale. Tanto per fare un esempio, le onde sonore dei brani, facendo vibrare l'acqua presente nelle nostre cellule, finiscono per incidere sulle papille gustative che in tal modo – come hanno dimostrato degli studi recenti – “sentono” il gusto in maniera differente”. Da qui il duo prima s'è avvalso della collaborazione di un fotografo, Jo Duck, che ha immortalato i loro cocktail nell'atto di danzare, poi ha creato un manifesto, The Chadni Punch Bowl, che si ispira agli studi dell'omonimo fisico e musicista tedesco del 18° secolo – noto come “il padre dell'acustica” – che collega le leggi della musica a quelle della fisica. Qualche esempio? Il “Daiquiri” (rum bianco e lime) suonerebbe bene con “Emotions” di Mariah Carey, il “Mint Julep” (whisky e menta) con “Chains of fools” di Arteha Franklin, mentre “Cosmo” (vodka e mirtillo rosso) con il tema principale di “2001 Odissea nello spazio”, il celebre film di Stanley Kubrick.
Marco Lombardi