Memling, narratore seducente

Memling, narratore seducente
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Giovedì 9 Ottobre 2014, 05:50
LA MOSTRA
A Bruges, gli uomini d'affari veneziani del Quattrocento si riunivano a casa dei van der Boerse, e «facevano i prezzi»; nasce così la Borsa, ed è un altro primato lagunare. Ma non c'erano soltanto i veneziani: anche i genovesi e i toscani. E tutti, ben capivano d'arte e di pittura. Già nel 1540, un autore della città dichiarò che «il più eccellente e dotato pittore dell'intero mondo cristiano» era stato Hans Memling (nato verso il 1435 in Baviera; cresciuto a Bruges dove sta fino alla morte, 1494; allievo di Rogier van der Weyden); e tra i “nordici” del tempo, in Italia è il più acquistato di tutti. Profondi sono gli interscambi tra Italia e Fiandre: per un periodo, lo confondevano con Antonello da Messina, e Ghirlandaio ne copia una Crocifissione. Verrà esposta alle Scuderie del Quirinale da sabato al 18 gennaio (Memling, Rinascimento fiammingo, cat. Skira a cura di Till - Holger Borchert), con una trentina di dipinti del grande pittore. Non ci saranno due tra i suoi capolavori, e vedremo perché; ma si potranno ammirare opere fondamentali, prestate dalla Regina Elisabetta, dalla Frick Collection di New York (che di solito, se ne astiene), collezionate da famosi americani come Andrew Mellon, o John Johnson; saranno ricostruiti due importanti trittici, oggi divisi tra i musei del mondo; ma, soprattutto, se ne ammireranno tutti i 30 anni di pittura.
LE CONTROVERSIE
Come per ogni artista, ci sono opere non trasportabili, o non prestabili. Così, il Reliquiario di Sant'Orsola che è a Bruges, una cassetta a scrigno tutta dorata e dipinta («non l'abbiamo neppure chiesta», racconta Matteo Lafranconi, di Palaexpo), o il Trittico di Danzica, impressionante opera dei primissimi tempi, commissionata da un fiorentino, però rapita poi dai pirati dalla nave che lo trasportava. C'era un accordo con il museo che la ospita; lo si è saputo; ne è nata una campagna di stampa; così, Varsavia (tutto il mondo è paese) ha nominato una commissione; s'è spaccata a metà e l'accordo è sfumato. In compenso, vedremo, interi come non mai, il Trittico di Jan Crabbe (un pezzo è a Vicenza, gli altri a Bruges e alla Pierpont Library di New York; dice Lafranconi: «Arduo ottenerli»), e quello Pagagnotti (agli Uffizi il pannello centrale, alla National di Londra i due laterali); scopriremo i lineamenti di Ludovico e Benedetto Portinari, fiorentini che furono suoi committenti; vedremo perfino un dipinto che era di un pontefice. E parliamo di tavole: opere che non è facile far viaggiare. La Camera dei Conti, una delle quattro dell'apparato finanziario degli stati borgognoni e asburgici, manda documenti sui clienti italiani di Memling: anche la promessa scritta da Tommaso Portinari di restituire entro tre anni un monile, avuto in pegno per un prestito da Filippo il Bello, per spiegare chi costoro fossero allora.
I TESORI
Fondamentali nella produzione di Memling sono i ritratti. Uno fu predato dai nazisti a Firenze: recuperato da Rodolfo Siviero, è ora agli Uffizi. Gli terranno compagnia quelli della Frick (era in Italia del Nord a inizio Novecento), di Aversa (già dell'abate veneziano Luigi Celotti, che era un mercante), delle Galleria dell'Accademia lagunare (era di Girolamo Manfrin, monopolista del tabacco in Dalmazia, poi bandito per malversazioni dalla Serenissima, ma riammesso e autorizzato a girare armato: aveva oltre 400 dipinti), di Elisabetta d'Inghilterra, di raccolte inglesi e americane, oltre a quello di Benedetto Portinari, ancora dagli Uffizi. Nei ritratti è quanto mai incisivo; nelle scene religiose, sapeva raccontare: «Seducente narratore». Ci sarà anche uno tra i rari nudi femminili dei fiamminghi di allora: in un Trittico della vanità terrena e della salvezza divina (oggi a Strasburgo) dipinto per la famiglia Loiano di Bologna; forse, Bellini lo prenderà a modello per il suo splendido Nudo allo specchio, ora a Vienna. E nelle grandi tavole da altare si sente il sapore della scuola di Weyden.
L'ITALIA
Di Memling parla già Vasari; e Marcantonio Michiel, primo “cronista dell'arte”, ne elenca già dipinti nel Veneto, tra il 1521 e il 1542 (il «Memelin, Pittor antico ponentino»: due li possedeva Pietro Bembo, commissionati forse dal padre, che era ambasciatore veneziano in Borgogna e andava nei Paesi Bassi. «Esiste una grande osmosi reciproca tra Memling e la Penisola: lui s'adegua alla nostra morbidezza, quasi al nostro umanesimo; e i pittori della Penisola se ne appropriano», dice Lafranconi. Lo si vede in questa mostra di 50 opere scelte, quasi da leccarsi i baffi. Accompagnano Memling Ghirlandaio e Fra Angelico, Botticelli e gli ignoti maestri detti della Leggenda di Sant'Orsola, o di Santa Lucia. Forse Memling realizza per italiani un quinto delle opere.
Perugino e Pinturicchio gli sono debitori specie nei paesaggi di certe composizioni; egli spesso eterna putti e ghirlande, viste magari nei libri di Bembo padre. Insomma, il fiammingo più legato, ai suoi tempi, a canoni (ma anche alla fama) del nostro Paese. Da noi, una mostra di questa portata non gli era mai stata dedicata: molti nemmeno lo conoscono; quindi l'occasione è ghiotta: onore a chi ha il coraggio di proporla, invece delle solite mostre assai più scontate, tuttavia da “cassetta” più sicura.
Fabio Isman
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