Iraq, dall'Italia 280 uomini anti-Isis

Iraq, dall'Italia 280 uomini anti-Isis
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Venerdì 17 Ottobre 2014, 06:04
LA GUERRA
«Baghdad non è più sotto la minaccia imminente dell'Isis». La notizia, dopo che nei giorni scorsi i jihadisti erano arrivati a una manciata di chilometri dall'aeroporto della capitale irachena, è stata data ieri dal portavoce del Pentagono John Kirby. Continuano però in Iraq, gli attentati sanguinosi nella provincia di Anbar, a Ovest di Baghdad. Ieri diverse esplosioni hanno colpito la popolazione sciita uccidendo una trentina di persone.
IL RUOLO DELL'ITALIA

Ma la minaccia del califfato è lungi dall'essere eliminata e quindi l'Italia ha deciso di aumentare gli sforzi a fianco di Stati Uniti e alleati e di tornare in Iraq a 11 anni dalla strage di Nassiriya (19 morti). Ieri il ministro della Difesa Roberta Pinotti, parlando alle Commissioni di Camera e Senato, ha detto che il nostro Paese invierà un aereo per il rifornimento in volo, due velivoli senza pilota Predator, 280 militari, tra istruttori per le forze curde (probabilmente diretti a Erbil) e consiglieri dei vertici delle forze irachene. Il ministro Pinotti ha ricordato che l'Italia ha già dal mese scorso cominciato le consegne ai curdi di mitragliatrici e di munizionamento. Un impegno ampiamente giustificato in serata dal presidente Giorgio Napolitano il quale ha detto che serve un «intenso e coordinato impegno per lo spegnimento di focolai di guerra e di tensione, per il superamento di conflitti armati e di minacce di violenza» come quella dell'Isis che si manifesta con «forme di inaudita aggressività e barbarie». «Nessuno di noi può sottrarsi a risposte, le più ferme, di fronte alle minacce incombenti» ha aggiunto il Capo dello Stato.
KOBANE RESISTE

Buone notizie anche dal fronte siriano della guerra all'Isis. Due giorni intensi di raid aerei della coalizione internazionale a guida Usa hanno restituito ai combattenti curdi la speranza che Kobane può non cadere nelle mani dell'Isis. Grazie al maltempo sull'Iraq, tra mercoledì e ieri i caccia di Stati Uniti e alleati, si sono concentrati sulle postazioni dei jihadisti intorno e dentro la città curda del Nord della Siria. Decine di attacchi in cui sono andati distrutti, secondo quanto riferito dal comando Usa, una ventina di edifici occupati dai jihadisti del califfo, tre postazioni di cecchini, altrettante postazioni di combattenti, due sedi di comando e almeno una postazione di artiglieria pesante. Una pioggia di fuoco che non solo ha rallentato l'avanzata jihadista ma ha anche permesso ai peshmerga curdi di strappare al nemico alcune aree della città. Due giorni di guerra che hanno risollevato il morale delle forze di resistenza curde a tal punto da spingere il comandante Baharin Kandal ad affermare che Kobane potrebbe essere «presto liberata» dalle forze dell'Isis. Un ottimismo non condiviso dal comando Usa che, seppur riconoscendo il buon esito degli attacchi in cui «decine di jihadisti sono stati uccisi», ritiene che «la situazione sul terreno sia ancora fluida» e la città potrebbe «ancora cadere nelle mani dell'Isis». Ma dietro le dichiarazioni quasi trionfalistiche di Kandal ci sarebbe anche una mutata situazione sul terreno. Sembra che quasi per magia si sia aperto, quasi sicuramente dalla Turchia, un importante canale di rifornimento per i peshmerga attraverso cui sono affluite negli ultimi giorni a Kobane armi, munizioni e combattenti. Secondo l'Osservatorio per i diritti umani in Siria, la battaglia di Kobane, cominciata un mese fa, è già costata la vita a quasi 700 persone.
In difficoltà sul terreno, scatenato sul web. Ieri l'Isis ha colpito senza pietà: dopo aver dato del «suino» al presidente francese Hollande e aver definito «sporca» la cancelleira Merkel, lo Stato islamico ha messo in Rete un video in cui alcuni jihadisti, a volto scoperto, annunciano che «taglieremo le teste di tutti quelli che manderete, uccideremo ogni singolo soldato».
Roberto Romagnoli
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