LA VIA DELL’ACCORDO
Come funzionerebbe la web tax? In pratica l’Italia proporrebbe alle aziende una opzione volontaria e non obbligatoria: accetta di essere riconosciuta come una web company dotata di struttura organizzativa stabile nel nostro Paese anche se non hai sedi fisiche e dipendenti fissi sul territorio. E dunque esce dall’ambiguità che ha attirato le inchieste della Guardia di Finanza e della Procura di Milano cominciando a versare regolarmente non solo l’Iva sulle transazioni, ma anche le tasse sui profitti. Vale a dire l’Ires. Ovviamente la norma lascerebbe libere le multinazionali di rifiutare l’accordo. Ma a quel punto, per dirla con le parole di chi sta lavorando sul dossier, «chi si tira indietro si espone al rischio, come si è visto concretamente, di attirare su di sé indagini ed accertamenti con effetti imprevedibili». Sul tema comunque le proposte in campo sono varie: c’è anche quella del leader di Scelta Civica ed ex sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti.
Secondo alcuni calcoli, la web tax, a regime, potrebbe produrre un gettito di 5 miliardi di euro, considerato che la base imponibile aggirata in Italia dalle multinazionali viaggia intorno a 31 miliardi di euro. «Con una norma transitoria – spiega ancora Boccia, autore della prima web tax approvata in Italia dal Parlamento nel 2013 e poi bloccata per l’opposizione di molte forze politiche -in attesa delle decisioni europee che appaiono sempre più incerte , si potrebbe assicurare gettito fiscale ordinario. Anche per questo motivo condivido la decisione del ministro dell’Economia Padoan di portare il tema web tax al tavolo del G7 dei ministri finanziari che si terrà questa settimana a Bari». Parole che appaiono in sintonia con quanto affermato nei giorni scorsi dal ministro. «Le posizioni dei Paesi G7 sono diverse e c’è il riconoscimento che il tema debba essere affrontato – ha spiegato Padoan – l’Italia farà di tutto perché ci siano passi avanti».
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