Ucraina, viaggio nell’Est: la guerra non è mai finita

Ucraina, viaggio nell’Est: la guerra non è mai finita
di Cristiano Tinazzi
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Sabato 8 Agosto 2015, 23:48 - Ultimo aggiornamento: 25 Dicembre, 18:16
DONETSK La statua di Lenin troneggia solitaria nella piazza centrale di Donetsk. Dall'altra parte della strada c'è il palazzo del comune. Fuori, di guardia, si trovano diversi miliziani, alcuni con le toppe del battaglione di appartenenza, come l'Oplot o il Vostok. C'è anche un cosacco, con gli occhi spiritati, la lunga barba e gli stivaloni da cavallerizzo. Una miscellanea di nazionalità, di combattenti locali e di internazionalisti, la maggior parte “volontari” russi, con la loro croce ortodossa appesa al collo. Ma ci sono anche i ceceni di Kadhirov, fedelissimo di Putin, che invocano Allah prima della battaglia e migliaia di nazionalisti e ultranazionalisti che ancora sognano il ritorno all'impero zarista e ai fasti dell'era sovietica (e qualcuno anche al nazismo). E poi decine e decine di foreign fighters europei, venuti fin qui per combattere il «mostro americano». Donetsk è il simbolo dell'industria e del lavoro sin dalla sua fondazione, nel 1869, quando il gallese John Hughes costruì la prima acciaieria vicino a Olexandrivka. Donetsk vive di questo, di carbone e di acciaio. Nemici sul campo di battaglia, separatisti filorussi e governativi rimangono partner a livello commerciale. «Gli affari sono affari. D'altronde in base a ciò che si è deciso ai negoziati di Minsk non possiamo commerciare con altri partner se non con l'Ucraina», spiega Yuriy Popovkin, direttore della miniera Scheglovskaya-Glubokaya.



L’ULTIMO CHECKPOINT

Nel distretto di Petrovsky, nella periferia ovest, l'ultimo checkpoint si trova poco distante dalla stazione degli autobus. La parte di quartiere che si trova oltre lo sbarramento militare è ormai quasi del tutto disabitata. I colpi di mortaio cadono tutti i giorni, la linea di combattimento è a soli pochi chilometri da qui. Dalle prime ore della sera fino al mattino, le strade si svuotano e le posizioni dei governativi incominciano a martellare la zona. Diverse granate arrivano spesso anche oltre il checkpoint. Poco distante si trova Marinka, un villaggio sotto il controllo delle truppe di Kiev. Questa è una guerra fatta di bunker e trincee, dove ci si confronta quotidianamente sfidandosi a colpi di mortaio e cecchini.



LA BATTAGLIA DI SPARTAK

Altro fronte è quello del villaggio di Spartak, poco distante dall’aeroporto. Le linee nemiche in questa zona sono tenute dal famigerato Battaglione di estrema destra Azov. La frontline di Spartak è una delle più calde. I colpi di mortaio cadono a distanza di pochi secondi l'uno dall'altro, interrotti saltuariamente dal crepitio delle mitragliatrici e da singoli secchi spari dei cecchini. Qui come in altre zone, è il battaglione Vostok che tiene duro in trincea. Nell'area non è difficile imbattersi in granate di mortaio inesplose e resti di missili Grad. Uno dei comandanti spiega che vengono anche utilizzati lanciarazzi BM-21 e colpi di mortaio superiori ai 100mm, in evidente violazione degli accordi di Minsk, che prevedono la rimozione di tutte le armi pesanti a quindici chilometri dietro la linea di contatto, da ogni parte della barricata, per creare una zona smilitarizzata di circa trenta chilometri. Violazioni che avvengono da ambo i lati.



L’ospedale “21” si trova nel sottodistretto di Oktyabrsky, a poco meno di un chilometro dall'aeroporto. Per arrivarci si deve passare davanti ad abitazioni popolari, diverse delle quali sono state pesantamente colpite. L'ospedale è fatiscente. Alcuni cani randagi stazionano all'entrata. La sala operatoria è all'ultimo piano. «Non so perché continuano a bombardare qui e a lanciare missili, non ci sono obiettivi militari». Se è vero che qui nel Donbass, più che nel resto dell'Ucraina non mancano riferimenti politici all'era sovietica come statue, manifesti e stelle rosse, si nota anche una forte aderenza al cristianesimo ortodosso e all’idea imperiale zarista. Il nastro di San Giorgio (vietato nel periodo sovietico) ad esempio, è il simbolo del legame con il vecchio impero dello Zar. Un simbolo che racchiude oggi il variegato mondo dell'estremismo nazionalista russo.



LE SVASTICHE

Nel magma di sigle e simboli che sostengono i separatisti spuntano anche rune e svastiche. Il battaglione “Rusich” ad esempio, formato da volontari nazisti provenienti dal nord Europa e dalla Russia. Hanno come simbolo il Kolovrat, la svastica solare. Il loro leader è il nazista russo Alexei Milchakov. Altre milizie di estrema destra presenti con le forze separatiste sono quelli provenienti dal battaglione Kornilov, i militanti del Russian National Unity, i francesi di “Unité Continentale” e poi anche diversi italiani, alcuni nei battaglioni di volontari cosacchi, localizzati nell’altra repubblica, a Lugansk.
 
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